Foto di Daydreamerboy – Own work, CC BY-SA 4.0

Il 5 aprile scorso The Economist pubblicava una storia di copertina intitolata “What America has got wrong about gender medicine” (“Ciò che l’America sbaglia riguardo alla medicina di genere”). Una premessa secca contro la stigmatizzazione delle persone trans per andare in poche righe dritti al punto: mettere in discussione il trattamento “gender affirming” riservato a bambini e adolescenti con disforia di genere negli Stati Uniti. «Questo trattamento cambia la vita e può portare alla sterilità. Il pensiero generale in America è che l’intervento medico e l’affermazione di genere facciano bene e che dovrebbero essere più accessibili. In Europa diversi paesi sostengono che manchino prove sufficienti e che interventi di questo tipo dovrebbero essere fatti con parsimonia e debbano essere studiati più a fondo. Gli europei hanno ragione».

A un anno di distanza il New York Times ha pubblicato un lungo intervento di Pamela Paul, “As Kids, They Thought They Were Trans. They No Longer Do” (“Da bambini pensavano di essere trans. Ora non più”). Un’inchiesta tra detransitioners e addetti ai lavori che demolisce lo storytelling sulle cure di genere ai minori (per anni alimentato dallo stesso Nyt) col coraggio della verità e dell’esperienza. Gli europei hanno ragione: non lo dicono solo i dati ma le persone trattate con bloccanti, ormoni, chirurgia, i pionieri di queste cure, gli ultimi studi che contraddicono e sbugiardano quelli ormai superati ma tutt’oggi presentati in America e Canada (così come in Spagna e in Italia) come scienza consolidata sul trattamento della disforia di genere. Facendo di una questione medica e psicologica una questione politica.

Gender affirming, un approccio obsoleto e pericoloso

«Spesso i progressisti descrivono l’acceso dibattito sull’assistenza ai bambini transgender come uno scontro tra coloro che stanno cercando di aiutare un numero crescente di ragazzini a esprimere ciò che credono sia il loro genere e i politici conservatori che non permettono ai bambini di essere se stessi», scrive Paul. «Ma i demagoghi di destra non sono gli unici ad aver infiammato questo dibattito. Gli attivisti transgender hanno spinto il proprio estremismo ideologico, in particolare facendo pressione per un’ortodossia terapeutica che negli ultimi anni è stata sottoposta a maggiori controlli. Secondo questo modello di cura, ci si aspetta che i medici affermino l’identità di genere di un giovane e forniscano persino un trattamento medico prima di o addirittura senza esplorare altre possibili fonti di disagio».

E chi, in primis i genitori, osa far domande o dissentire, viene chiamato transfobo. Un modello di cura tanto obsoleto quanto pericolosissimo. Lo attestano drammaticamente le storie raccontate nell’inchiesta del Nyt.

Grace e i medici terrorizzati dalle accuse di transfobia

La storia di Grace Powell è quella di una ragazzina impopolare, bullizzata, che si convince, navigando in rete, che la spiegazione più ovvia al disagio che prova verso il suo corpo di tredicenne che si sta sviluppando sia trovarsi nel corpo sbagliato. Al liceo inizia ad assumere ormoni sessuali incrociati. Poi una doppia mastectomia. Inizia il college da ragazzo transgender, in camera con un altro maschio. Finisce per sentirsi un gay effemminato. Nessuno nel corso della sua transizione medica o chirurgica, racconta Powell alla giornalista, le ha mai chiesto qualcosa del suo orientamento sessuale, nessuno ha mai indagato le cause della sua depressione, «per questo né i terapisti né i medici», osserva Paul, «hanno mai saputo che aveva subito abusi sessuali da bambina».

Giovani al Trans Visibility Day di New York (foto Ansa)

Laura Edwards-Leeper, psicologa fondatrice della prima clinica pediatrica di genere negli Stati Uniti, assicura che i pazienti di oggi non somigliano affatto a quelli di dieci anni fa, «in particolare le ragazzine, esprimono disforia di genere nonostante non l’abbiano mai avuta quando erano più piccole. Spesso hanno problemi di salute mentale non legati al genere». Ma quei medici e terapisti che ritengono ci voglia tempo, personalizzazione, che non si debba automaticamente accettare l’autodiagnosi di una ragazzina, hanno paura di parlare. Gli stessi studenti formati da Edwards-Leeper hanno abbandonato il campo delle cure di genere, alcuni chiarendo che «non si sentivano in grado di continuare a causa delle reazioni, delle accuse di transfobia, per il solo essere a favore di una valutazione e un processo terapeutico più approfondito».

«Davanti a lui, il terapeuta mi ha chiesto: “Vuoi un figlio morto o una figlia viva?”»

Hanno ragione: per il solo fatto di avere chiesto ai colleghi un approccio più ponderato alla disforia di genere e di prestare attenzione ai detransitioner, Stephanie Winn, terapeuta matrimoniale e familiare dell’Oregon, è finita sotto inchiesta. I detransitioner stessi, affermando che solo i media conservatori erano interessati a raccontare le loro storie, sono stati accusati di essere “strumenti nelle mani della destra”. Proprio loro, «che un tempo erano bambini transidentificati che tante organizzazioni dicono di voler proteggere, ma che quando cambiano idea, dicono, si sentono abbandonati». Quanto ai genitori, «tutti hanno detto di essersi sentiti costretti dai medici, dalle scuole e dalla pressione sociale ad accettare l’identità di genere dichiarata dal figlio anche se avevano seri dubbi. Temevano che la famiglia si sarebbe spaccata se non avessero sostenuto senza riserve la transizione sociale e il trattamento medico».

Chloe, Helena e le altre, transgender pentite e influenzate dai social

Bambini transgender, la Francia si ribella mentre i giudici inglesi “cancellano” Keira Bell

“Lasciateli transizionare”, era l’ordine dei terapeuti. Ma nei gruppi di sostegno per genitori di giovani transgender «tutti i partecipanti hanno descritto i loro figli come autistici o comunque neurodiversi». Molti dicono «che i loro figli sono stati introdotti a influencer transgender su YouTube o TikTok», fenomeno intensificato durante il Covid, altri in classe «attraverso programmi di studio forniti dalle organizzazioni per i diritti dei trans». Il figlio quindicenne di Kathleen invece di essere valutato per l’Adhd è stato indirizzato ad uno specialista di genere che al primo incontro si è rivolto alla donna in modo scioccante: «Davanti a mio figlio, il terapeuta mi ha chiesto: “Vuoi un figlio morto o una figlia viva?”».

Con Joe Biden il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti diffonde un documento in cui appoggia l’approccio “affermativo” alla transizione dei minori e la prescrizione immediata di farmaci bloccanti della pubertà (foto Ansa)

Boom di trans, da pazienti a pedine politiche

Ma come hanno chiarito l’anno scorso al Wall Street Journal 21 esperti di nove paesi non esistono prove della transizione ormonale quale misura efficace per la prevenzione del suicidio. Esistono invece bambini con disforia di genere «che spesso presentano una serie di comorbidità psichiatriche, con un’alta prevalenza di disturbi dell’umore e d’ansia, traumi, disturbi alimentari e condizioni nello spettro autistico, tendenze al suicidio e autolesionismo. Ma che invece di essere trattati come pazienti che meritano un aiuto professionale imparziale, diventano spesso pedine politiche».

Il servizio sanitario britannico chiude la clinica che sfornava bambini transgender

L’ospedale svedese sulle cure ai minori transgender: «Abbiamo fatto del male ai bambini»

Chi dissente è fatto fuori. Come Aaron Kimberly, uomo trans di 50 anni e infermiere professionista costretto a lasciare la clinica della British Columbia per non avere obbedito all’ordine di avviare agli ormoni i ragazzini indipendentemente dal fatto che avessero bisogno di cure mentali. O come Emerick, che dopo cinque anni vissuti da uomo trans (doppia mastectomia a 17 anni, ormoni a 16 e la decisione di transitare per non dire a sua madre che era lesbica) ha deciso di «fare coming out come detransitioner su Twitter» ed è stata travolta da minacce e insulti di influencer transgender.

Per aver sottolineato ciò che ogni genitore sa – i ragazzi cambiano continuamente idea, gli adolescenti sono influenzati dai coetanei, e con la pubertà i ragazzi cercano il loro posto nel mondo e di dare un senso alla loro identità –, a Sasha Ayad, coautore di When Kids Say They’re Trans: A Guide for Thoughtful Parents, è stata contestata due volte la licenza.

Uscire dalla guerra culturale sui trans e tornare alla ragione

Paul Garcia-Ryan, psicoterapeuta di New York che si occupa di bambini e famiglie in cerca di cure olistiche ed esplorative per la disforia di genere, ha vissuto sulla sua pelle tutto ciò. Detransitioner che dai 15 ai 30 anni ha creduto pienamente di essere una donna fino all’intervento chirurgico ai genitali con gravi complicanze mediche, presiede ora il cda di Therapy First, un’organizzazione che sostiene i terapeuti che non condividono il modello di affermazione del genere nel quale lo stesso Garcia-Ryan aveva confidato per anni:

«Ti fanno credere in questi slogan che parlano di cure la cui efficacia è basate su prove evidenti, di cure salvavita sicure e necessarie dal punto di vista medico, dicono che la scienza è consolidata – ma niente di tutto ciò è basato su prove di efficacia».

Uscire dalla guerra culturale e tornare alla ragione, è questo l’appello del sorprendente pezzo del Nyt che finalmente guarda a Svezia, Norvegia, Francia, Paesi Bassi e Gran Bretagna, a lungo considerati esempi di progresso di genere e che hanno già dimostrato quanto si sbagliassero le prime ricerche sulle cure per la disforia di genere.

I primi dissidenti, i pionieri delle cure di genere

Gli europei hanno ragione: intervistata da Vanity Fair, Zanny Minton Beddoes, caporedattore dell’Economist aveva ribadito il problema “americano”: culture war animate dall’estremismo di destra, illiberalismo dei progressisti di sinistra, sinceri liberali ripiegati sul «non dire nulla» per non sembrare conservatori. Quando Jamie Reed ha denunciato al procuratore generale del Missouri lo sconvolgente trattamento riservato ai minori in cura presso il Transgender Center della Washington University del St. Louis Children’s Hospital, dove aveva lavorato per quattro anni come “case manager”, è stata costretta a spiegare l’ovvio: «Lui è un repubblicano. Io sono un progressista. Ma la sicurezza dei bambini non dovrebbe essere oggetto delle nostre guerre culturali».

Ripudiata dalla sinistra per aver difeso i bambini dalle cure trans

«Le cure di genere ai bambini sono pericolose. Ve lo dico io che le ho fatte per prima»

Donna queer, sposata con un uomo trans, militante di sinistra, per la stampa progressista la donna aveva «tradito le sue convinzioni», aveva subito un «lavaggio del cervello» dai conservatori e aveva denunciato il centro mossa da un «evidente pregiudizio ideologico».

Non solo: a Reed è stata mossa l’accusa di non essere un essere un medico e quindi non avere i titoli per discutere gli interventi di chi dirigeva la clinica. The Free Press – la media company fondata da Bari Weiss è stata la prima a dare voce a Reed – ha risposto all’accusa pubblicando il lungo intervento della dottoressa dal curriculum indiscutibile Riittakerttu Kaltiala, pioniera delle cure ormonali per i bambini transgender: è stata lei ad aprire la prima clinica in Finlandia per il cambio di genere dei minori, lei a seguirne centinaia che dichiaravano una disforia, lei a schierarsi oggi in prima linea contro i bloccanti della pubertà, cure e trattamenti che ha scoperto sulla pelle dei suoi piccoli pazienti essere molto più che «pericolosi».

No, gli ormoni non salvano la vita

La Finlandia non è sola ad aver pubblicato linee guida e prove per posticipare all’età adulta la transizione di genere. Dalla Svezia al Regno Unito, i paesi più avanti in materia hanno fatto marcia indietro.

La lunga testimonianza di Riittakerttu Kaltiala si concludeva con la durissima condanna delle società mediche degli Stati Uniti, dove continua a prosperare l’approccio affirming e l’identità “trans” si è evoluta includendo sempre nuove variazioni di genere. Dove le accademie pediatriche e di psichiatria dell’adolescenza rifiutano il confronto con i colleghi europei e i genitori sono ostaggio della retorica degli attivisti fondata sulla profezia del suicidio in caso venisse ostacolata la medicalizzazione di genere dei loro figli. Dove il presidente della società di endocrinologia scrive sui giornali che gli ormoni «salvano la vita» – «Sono stato coautore di una lettera di risposta, firmata da 20 medici provenienti da nove paesi, in cui confutavo la sua affermazione», ha ribadito la dottoressa Kaltiala.

Jazz Jennings, l’adolescente transgender più famoso d’America, al Pride di New York del 2016 (foto Ansa)

«Nulla cambierà se restiamo in silenzio»

Questo l’anno scorso. Oggi The Free Press rincara la dose pubblicando la testimonianza della terapista Tamara Pietzke in forze al MultiCare, uno dei più grandi sistemi ospedalieri dello stato di Washington, e alla quale venivano indirizzati i ragazzini che necessitavano di una lettera di raccomandazione per accedere alla clinica di genere per minori (segnalazioni aumentate da meno di cinque al mese nel 2019 a più di 35 al mese nel 2022) e ai suoi «trattamenti irreversibili».

I medici frenano sugli ormoni ai ragazzi transgender

Due guru della medicina transgender denunciano: «Troppi interventi avventati sui bambini». E vengono silenziate

Pietzke racconta cosa è accaduto da quando ha cercato solo di porre domande sulle terapie ormonali a superiori e colleghi fino al momento in cui ha deciso ribellarsi: «Nulla cambierà finché le persone come me, che conoscono i rischi della medicalizzazione dei ragazzi in difficoltà, resteranno in silenzio», scrive dopo aver raccontato le pressioni subite al lavoro e le tragiche storie delle sue pazienti che soffrivano di disturbi mentali, autismo, ansia, depressione e avviate dal sistema alla transizione, «sono persone vulnerabili che si rivolgono a noi nei momenti più difficili della loro vita e che ci affidano la loro salute e sicurezza. Eppure, invece di trattarli come tratteremmo pazienti con qualsiasi altra condizione di salute mentale, siamo stati istruiti – e persino costretti – ad abbandonare il nostro giudizio professionale e la nostra formazione professionale a favore di un’indiscutibile affermazione».

I medici trans fino a ieri “silenziati” dal Nyt

Già tre anni fa Tfp aveva dato voce a due medici, e non due medici qualunque: Marci Bowers, chirurga di fama mondiale (è stata lei a operare la star transgender dei reality Jazz Jennings) e di Erica Anderson, psicologa clinica presso l’affollatissima Child and Adolescent Gender Clinic dell’Università della California, entrambe allora ai vertici della World Professional Association for Transgender Health (Wpath), entrambe transgender e stimatissime fino a quando non hanno contestato la posizione della maggioranza dei colleghi della Wpath e la narrativa di giornali e attivisti: «Stanno cercando di tenere fuori chiunque non accetti ciecamente la linea del partito secondo cui tutto dovrebbe essere “affirming” e non c’è spazio per il dissenso. È un errore», «nessuno scrive che i pazienti che assumono bloccanti della pubertà finiscono quasi sicuramente per assumere ormoni sessuali incrociati – e questa combinazione tende a lasciare i pazienti sterili e sessualmente disfunzionali».

Stiamo parlando degli stessi due luminari della medicina transgender che prima di trovare spazio su Tfp avevano inviato al New York Times un opinion editorial scritto a quattro mani e critico del modo “avventato” con cui molti operatori sanitari stavano avviando i bambini alla transizione. Il Nyt aveva risposto che non c’era attinenza con le priorità del giornale (salvo timidamente ricredersi pochi mesi dopo).

QOSHE - Bambini che non erano trans. E che sono diventati pedine politiche - Caterina Giojelli
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Bambini che non erano trans. E che sono diventati pedine politiche

4 1
11.02.2024
Foto di Daydreamerboy – Own work, CC BY-SA 4.0

Il 5 aprile scorso The Economist pubblicava una storia di copertina intitolata “What America has got wrong about gender medicine” (“Ciò che l’America sbaglia riguardo alla medicina di genere”). Una premessa secca contro la stigmatizzazione delle persone trans per andare in poche righe dritti al punto: mettere in discussione il trattamento “gender affirming” riservato a bambini e adolescenti con disforia di genere negli Stati Uniti. «Questo trattamento cambia la vita e può portare alla sterilità. Il pensiero generale in America è che l’intervento medico e l’affermazione di genere facciano bene e che dovrebbero essere più accessibili. In Europa diversi paesi sostengono che manchino prove sufficienti e che interventi di questo tipo dovrebbero essere fatti con parsimonia e debbano essere studiati più a fondo. Gli europei hanno ragione».

A un anno di distanza il New York Times ha pubblicato un lungo intervento di Pamela Paul, “As Kids, They Thought They Were Trans. They No Longer Do” (“Da bambini pensavano di essere trans. Ora non più”). Un’inchiesta tra detransitioners e addetti ai lavori che demolisce lo storytelling sulle cure di genere ai minori (per anni alimentato dallo stesso Nyt) col coraggio della verità e dell’esperienza. Gli europei hanno ragione: non lo dicono solo i dati ma le persone trattate con bloccanti, ormoni, chirurgia, i pionieri di queste cure, gli ultimi studi che contraddicono e sbugiardano quelli ormai superati ma tutt’oggi presentati in America e Canada (così come in Spagna e in Italia) come scienza consolidata sul trattamento della disforia di genere. Facendo di una questione medica e psicologica una questione politica.

Gender affirming, un approccio obsoleto e pericoloso

«Spesso i progressisti descrivono l’acceso dibattito sull’assistenza ai bambini transgender come uno scontro tra coloro che stanno cercando di aiutare un numero crescente di ragazzini a esprimere ciò che credono sia il loro genere e i politici conservatori che non permettono ai bambini di essere se stessi», scrive Paul. «Ma i demagoghi di destra non sono gli unici ad aver infiammato questo dibattito. Gli attivisti transgender hanno spinto il proprio estremismo ideologico, in particolare facendo pressione per un’ortodossia terapeutica che negli ultimi anni è stata sottoposta a maggiori controlli. Secondo questo modello di cura, ci si aspetta che i medici affermino l’identità di genere di un giovane e forniscano persino un trattamento medico prima di o addirittura senza esplorare altre possibili fonti di disagio».

E chi, in primis i genitori, osa far domande o dissentire, viene chiamato transfobo. Un modello di cura tanto obsoleto quanto pericolosissimo. Lo attestano drammaticamente le storie raccontate nell’inchiesta del Nyt.

Grace e i medici terrorizzati dalle accuse di transfobia

La storia di Grace Powell è quella di una ragazzina impopolare, bullizzata, che si convince, navigando in rete, che la spiegazione più ovvia al disagio che prova verso il suo corpo di tredicenne che si sta sviluppando sia trovarsi nel corpo sbagliato. Al liceo inizia ad assumere ormoni sessuali incrociati. Poi una doppia mastectomia. Inizia il college da ragazzo transgender, in camera con un altro maschio. Finisce per sentirsi un gay effemminato. Nessuno nel corso della sua transizione medica o chirurgica, racconta Powell alla giornalista, le ha mai chiesto qualcosa del suo orientamento sessuale, nessuno ha mai indagato le cause della sua depressione, «per questo né i terapisti né i medici», osserva Paul, «hanno mai saputo che aveva subito abusi sessuali da bambina».

Giovani al Trans Visibility Day di New York (foto Ansa)

Laura Edwards-Leeper, psicologa fondatrice della prima clinica pediatrica di genere negli Stati Uniti, assicura che i pazienti di oggi non somigliano affatto a quelli di dieci anni fa, «in particolare le ragazzine, esprimono disforia di genere nonostante non l’abbiano mai avuta quando erano più piccole. Spesso hanno problemi di salute mentale non legati al genere». Ma quei medici e terapisti che........

© Tempi


Get it on Google Play