L’offerta crea la domanda. Mentre si moltiplicano testimonial e sforzi dei radicali per legalizzare in Italia il suicidio assistito, sul numero di Tempi di aprile abbiamo approfondito (e continueremo a farlo) le ragioni per cui nessuna legge è meglio di qualsiasi legge. Perché da anni Tempi documenta cosa accade dal Canada al Paesi Bassi, nei paesi dove l’eutanasia è stata normalizzata – di più, “romanticizzata” – fino ad assumere i contorni non più del diritto bensì del dovere di morire (è il caso del Belgio, con un aumento del 14.000% dei decessi dalla legalizzazione). E dove, per la prima volta, si comincia a parlare di “contagio suicida”.

Non hanno una malattia terminale, non hanno un cancro, non sono paraplegici. Soffrono di depressione e ansia esacerbata dall’incertezza del futuro, dalla crisi climatica, dalle paure e le delusioni condivise dai coetanei sui social network. Sono giovani come Zoraya ter Beek, incontrata da The Free Press nell’ambito di una lunga inchiesta tra gli attivisti del diritto a morire che merita attenzione (qui l’originale). Una ragazza che ha programmato per l’inizio di maggio il suo suicidio assistito, poi la cremazione e l’eterno riposo in un’urna perché «non volevo far gravare sul mio partner il compito di tenere la tomba in ordine». «Non abbiamo ancora preso l’urna ma sarà quella la mia nuova casa!», ha scritto a Tfp aggiungendo un’emoji dell’urna dopo “casa!”.

Zoraya, 28 anni, ha deciso di morire a maggio

Ter Beek vive in una piccola città olandese con un fidanzato programmatore di cui è molto innamorata e due gatti. Voleva fare la psichiatra ma a 28 anni, provata da depressione, autismo e disturbo borderline della personalità destinato a non migliorare, ha deciso che era troppo stanca di vivere. Così si è tatuata un albero della vita capovolto sentendosi come l’uccellino che volerà via liberandosi di un tronco destinato a morire: è questa per lei la morte, una liberazione. E non c’è niente da celebrare.

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La generazione di ter Beek non desidera alcun rito di passaggio o funerale: solo il divano in soggiorno, il medico che le augura buon sonno («perché odio la gente che dice: “Buon viaggio”. Non vado da nessuna parte») e le inietta il sedativo. Dopo di che il suo fidanzato spargerà le ceneri in «un bel posto nel bosco» che hanno scelto insieme. E quando il comitato di revisione dell’eutanasia olandese valuterà il suo caso, la vita di Zoraya ter Beek risulterà essere stata interrotta secondo tutti i crismi della normativa.

Destigmatizzare il suicidio assistito incoraggia i giovani a chiederlo

Ci sono tre cose dall’inchiesta di Tfp da mandare a memoria. La prima: oggi l’eutanasia non è più l’ultima risorsa, ma una delle opzioni di “cura” messe sul piatto da medici e psichiatri alle prese soprattutto con i giovani. Lo spiega bene Stef Groenewoud, esperto di etica sanitaria presso l’Università teologica di Kampen, nei Paesi Bassi, prima nazione a legalizzare l’eutanasia. La seconda: oggi persone come Zoraya ter Beek vengono tacitamente incoraggiate a suicidarsi da leggi che destigmatizzano il suicidio, da una cultura dei social media che lo rende affascinante e da attivisti radicali per il diritto alla morte che insistono che dovremmo essere liberi: ucciderci ogni volta che le nostre vite sono “complete”.

A persone così pensava Theo Boer quando si è dismesso, dopo nove anni, dal comitato di revisione. Tempi lo ha intervistato molte volte: oggi professore di etica sanitaria presso l’Università teologica protestante di Groningen, Boer ragionava come Marco Cappato nel 2004, convinto com’era che il suicidio assistito fosse la soluzione per restituire dignità ai malati condannati a morti strazianti a causa di patologie incurabili e che «una buona legge sull’eutanasia, insieme a una scrupolosa procedura di revisione dei casi, avrebbe garantito un numero stabile e relativamente basso» di suicidi. Non è andata così. «Oggi in Olanda uccidere è diventato normale. Ecco perché dico a tutti: non approvate l’eutanasia», spiegò a Tempi quando l’Olanda autorizzò la pratica anche per i bambini da 1 a 12 anni.

Dries van Agt e la moglie Eugenie Krekelberg si sono uccisi con l’eutanasia a 93 anni (Radbound University)

L’eutanasia non previene i suicidi, li aumenta

I dati gli danno ragione: l’ultimo rapporto disponibile sull’eutanasia in Olanda riguarda l’anno 2022, quando sono state uccise 8.720 persone, 24 al giorno, tra cui 288 dementi e 115 malati psichiatrici. Il 5,1 per cento dei decessi in Olanda avviene ormai attraverso l’iniezione letale e mediamente ogni anno i morti aumentano del 10 per cento. Vanno sempre più di moda anche le eutanasie di coppia: 58 nel 2022 contro i 22 casi del 2020. L’ultima, la più illustre, è quella dell’ex premier cattolico Dries van Agt e della moglie Eugenie, suicidatisi insieme a 93 anni lo scorso febbraio (ricordate come esultarono i media italiani e stranieri, sottolineando come la vita degli anziani non sia «poi così degna di essere vissuta»?).

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L’Olanda sdogana l’eutanasia dei bambini. «Non credevo saremmo arrivati a tanto»

L’Olanda non è un’eccezione. È la regola. Abbiamo detto del Belgio, ma dal 2018 al 2021 dovunque è stata autorizzata la morte di Stato sono lievitate le richieste: + 53 per cento negli Stati Uniti, + 125 per cento in Canada. E qui veniamo al terzo aspetto da ricordare: dove è legale il suicidio assistito, aumenta il numero di persone che si toglie la vita anche senza l’aiuto dello Stato, mentre in tutti gli altri Stati diminuisce.

L’Olanda ha sdoganato l’eutanasia dei bambini. «Non credevo saremmo arrivati a tanto», ha detto a Tempi
Theo Boer

Dove porta la legalizzazione

Lo ha ben spiegato David Albert Jones, direttore dell’Anscombe Bioethics Center, pubblicando i risultati di una ricerca comparativa che smonta le argomentazioni usate dai promotori della morte assistita per introdurla in Canada o allargarne le maglie in Europa sul Journal of Ethics in Mental Health (Tempi li ha ripresi qui): legalizzare l’eutanasia non previene i suicidi, li aumenta.

Lo conferma anche lo studio appena pubblicato a cura di Asher D. Colombo e Gianpiero Dalla Zuanna intitolato Data and Trends in Assisted Suicide and Euthanasia, and Some Related Demographic Issues. I risultati dicono che dove vengono messe in atto le cure palliative, il ricorso al suicidio assistito o all’eutanasia cala drasticamente. Al contrario, nei paesi in cui sono state adottate, le leggi su eutanasia e suicidio assistito hanno portato ad un aumento (lineare nei primi anni e poi accelerato nei successivi) del ricorso ad esse come «risultato di una crescente accettazione pubblica» (ne abbiamo parlato qui).

Gli attivisti vogliono fare fuori il paziente (e il medico)

Segno di quella che Boer chiama a Tfp «una visione distopica del futuro», «che tu sia religioso o no, questo uccidersi, togliersi la vita, affermare che hai chiuso con la vita prima che la vita finisca con te, penso che rifletta una povertà di spirito». Non è quello che pensano gli attivisti per il diritto alla morte, un movimento che si è fatto strada dall’Oregon, dove nel 1997 è stata adottata la prima legge sul suicidio assistito, ai Paesi Bassi, primo paese a legalizzare l’eutanasia, fino all’Europa, Australia e Sud America.

Un movimento potentissimo: basti pensare all’organizzazione della Coöperatie Laatste Wil (Clw, “Cooperativa L’ultima volontà”), il gruppo olandese che da anni va propinando il suicidio assistito “fai-da-te” ai suoi membri (ne dichiara circa 27mila). Nonostante gli scandali (Tempi aveva raccontato qui l’arresto del presidente della “setta” del suicidio in polvere Jos van Wijk), alla fine del 2022 la Clw ha fatto causa contro il governo olandese sostenendo che la regolamentazione del suicidio assistito viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo: la causa è ancora in corso e secondo i sondaggi è sostenuta dall’80 per cento degli olandesi: «Non vogliamo che la professione medica interferisca con il desiderio di morire», ha detto a Tfp van Wijk. Secondo gli attivisti senza eutanasia l’uomo è condannato a buttarsi sotto un treno o versare il veleno nel caffè di chi ama. Ed è nell’estensione dell’eutanasia che passa la differenza tra uno Stato misericordioso piuttosto che complice di un suicidio.

L’annuncio della morte per eutanasia di Lauren Hoeve comparso nel suo blog

Il rischio “contagio eutanasia” tra i ragazzi

Il risultato? Loren Hoeve. Una youtuber (di cui abbiamo raccontato la storia qui) che aveva 28 anni, soffriva di encefalomielite mialgica, nota anche come sindrome della stanchezza cronica, che ha condiviso col suo pubblico la scelta dell’eutanasia, fino all’ultimo meme: “Me getting euthanize” con l’immagine di un bambino che in occhiali da sole su una barella allunga il pollice in su. «Questo è il miglior modo umano per dire addio alla vita, addormentandosi pacificamente. Quanto è bello?», scriveva al pubblico di Loren la sua mamma.

Secondo Trudo Lemmens, bioeticista belga presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Toronto, l’estensione continua dei confini della legge e la promozione del suicidio come una cura per ciò che affligge potrebbe «minare la resilienza delle persone di fronte a condizioni complesse». Persone fragili come Hoeve o Zoraya ter Beek. Le cui morti premature potrebbero essere state influenzate da storie analoghe e indurre a loro volta altri giovani a prendere la stessa via d’uscita.

Canada, l’ultima frontiera della “misericordia” dello Stato

Quanto al Canada, l’ultima frontiera di tale compassione e misericordia statale (ne abbiamo scritto qui) è rappresentata dai tossicodipendenti. Dopo averla promossa, elargita, resa desiderabile ma soprattutto inevitabile a malati terminali, disabili, senzatetto, poveri, depressi e dementi lo Stato punta infatti a “salvare” con l’eutanasia i drogati.

Ancora una volta ricordiamo i numeri: nel 2022 in Canada 13.241 persone hanno chiesto e ottenuto il Maid (acronimo che indica la legge sulla morte medicalmente assistita (comprendente sia suicidio assistito che eutanasia, distinti solo per le procedure seguite). Il 31,2 per cento in più rispetto al 2021, il 4,1 per cento di tutti i decessi in Canada. Il che significa che dalla legalizzazione al 31 dicembre 2022 ci sono state 44.958 morti assistite. Nello stesso periodo morivano di overdose più di 30 mila persone in tutto il paese. Che secondo il governo avrebbero potuto salvarsi facendosi ammazzare dallo Stato.

Marco Cappato davanti al Consiglio regionale della Lombardia dove sono state depositate le firme raccolte per portare in Aula la proposta di legge sul fine vita, già bocciata in Veneto, Milano, 15 gennaio 2024 (Ansa)

Il giudice accoglie la richiesta di eutanasia di una ragazza autistica

Proprio in Canada, la settimana prima di Pasqua, il giudice Colin Feasby della Corte del King’s Bench di Alberta ha deciso che una ragazza di 27 anni affetta da autismo potrà accedere al Maid anche se suo padre sostiene che sia «vulnerabile» e «non competente per prendere la decisione di togliersi la vita». La decisione di Feasby ha annullato una precedente ingiunzione contro la richiesta di suicidio assistito avanzata da dalla figlia: il giudice riconosce che la ragazza non ha fornito «alcuna prova» per contestare le affermazioni del padre, tanto meno ha «identificato la sua condizione medica o fornito informazioni sui suoi sintomi e su come la causano sofferenza».

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Tuttavia negarle l’accesso al Maid significherebbe negarle «il diritto di scegliere tra vivere o morire con dignità». «Non ti conosco e non so perché cerchi Maid», ha detto Feasby alla giovane, «ho rispettato la tua autonomia e la tua privacy». Interdire alla ragazza la possibilità di farsi uccidere da un medico significa inoltre per il giudice esporla al rischio che si uccida da sola. Il padre potrà «trarre conforto dal fatto che ha fatto del suo meglio per persuaderla del valore della sua vita e dell’impegno dei suoi genitori ad amarla e sostenerla».

Tine Nys, al centro tra le sorelle. La donna belga ha ricevuto l’eutanasia il 27 aprile 2010, dopo che le era stata frettolosamente diagnosticata la Sindrome di Asperger

La corsa dei genitori per salvare i figli dal Maid

L’uomo ha presentato appello. Non è il primo genitore a mettersi in mezzo tra il Maid e i propri ragazzi. «Ti prego di arrivare alle 8:30. Richiederò un’infermiera alle 8:45 e inizierò la procedura intorno alle 9:00. La procedura sarà completata in pochi minuti»: Margaret Marsilla aveva scoperto così, per caso e leggendo una mail, che suo figlio Kiano Vafaeian, un ragazzo di 23 anni, depresso, diabetico e cieco da un occhio, sarebbe stato ucciso a breve a Toronto (qui la storia del suo salvataggio). «Non vogliamo che questa procedura venga erogata a nostro figlio, né vogliamo che costituisca un precedente per altri in futuro. Protestiamo contro l’uso dell’aberrante pratica medica del Maid per i giovani che affrontano una crisi di salute mentale o soffrono di altre malattie o disabilità non terminali – scrisse la famiglia ai media e al ministro della Salute dell’Ontario in una lettera rilanciata dall’Euthanasia Prevention Coalition per fermare il procedimento -. La società deve sapere che ai giovani viene data l’occasione di porre fine alla propria vita piuttosto che ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno».

Come sarà possibile evitare che l’offerta della morte assistita crei una ulteriore “domanda”, soprattutto tra pazienti più fragili, depressi, soli? Non sarà possibile. Più sarà garantita da Stato e medici, più gente si toglierà la vita.

QOSHE - Dove è legale, l’eutanasia non salva da suicidi e dolore. Ammazza e non risparmia nessuno - Caterina Giojelli
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Dove è legale, l’eutanasia non salva da suicidi e dolore. Ammazza e non risparmia nessuno

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08.04.2024

L’offerta crea la domanda. Mentre si moltiplicano testimonial e sforzi dei radicali per legalizzare in Italia il suicidio assistito, sul numero di Tempi di aprile abbiamo approfondito (e continueremo a farlo) le ragioni per cui nessuna legge è meglio di qualsiasi legge. Perché da anni Tempi documenta cosa accade dal Canada al Paesi Bassi, nei paesi dove l’eutanasia è stata normalizzata – di più, “romanticizzata” – fino ad assumere i contorni non più del diritto bensì del dovere di morire (è il caso del Belgio, con un aumento del 14.000% dei decessi dalla legalizzazione). E dove, per la prima volta, si comincia a parlare di “contagio suicida”.

Non hanno una malattia terminale, non hanno un cancro, non sono paraplegici. Soffrono di depressione e ansia esacerbata dall’incertezza del futuro, dalla crisi climatica, dalle paure e le delusioni condivise dai coetanei sui social network. Sono giovani come Zoraya ter Beek, incontrata da The Free Press nell’ambito di una lunga inchiesta tra gli attivisti del diritto a morire che merita attenzione (qui l’originale). Una ragazza che ha programmato per l’inizio di maggio il suo suicidio assistito, poi la cremazione e l’eterno riposo in un’urna perché «non volevo far gravare sul mio partner il compito di tenere la tomba in ordine». «Non abbiamo ancora preso l’urna ma sarà quella la mia nuova casa!», ha scritto a Tfp aggiungendo un’emoji dell’urna dopo “casa!”.

Zoraya, 28 anni, ha deciso di morire a maggio

Ter Beek vive in una piccola città olandese con un fidanzato programmatore di cui è molto innamorata e due gatti. Voleva fare la psichiatra ma a 28 anni, provata da depressione, autismo e disturbo borderline della personalità destinato a non migliorare, ha deciso che era troppo stanca di vivere. Così si è tatuata un albero della vita capovolto sentendosi come l’uccellino che volerà via liberandosi di un tronco destinato a morire: è questa per lei la morte, una liberazione. E non c’è niente da celebrare.

Leggi anche:

Eutanasia. Così in Belgio si è passati dal diritto al dovere di morire

Fine vita. Lo scandaloso colpo di mano di Bonaccini

La generazione di ter Beek non desidera alcun rito di passaggio o funerale: solo il divano in soggiorno, il medico che le augura buon sonno («perché odio la gente che dice: “Buon viaggio”. Non vado da nessuna parte») e le inietta il sedativo. Dopo di che il suo fidanzato spargerà le ceneri in «un bel posto nel bosco» che hanno scelto insieme. E quando il comitato di revisione dell’eutanasia olandese valuterà il suo caso, la vita di Zoraya ter Beek risulterà essere stata interrotta secondo tutti i crismi della normativa.

Destigmatizzare il suicidio assistito incoraggia i giovani a chiederlo

Ci sono tre cose dall’inchiesta di Tfp da mandare a memoria. La prima: oggi l’eutanasia non è più l’ultima risorsa, ma una delle opzioni di “cura” messe sul piatto da medici e psichiatri alle prese soprattutto con i giovani. Lo spiega bene Stef Groenewoud, esperto di etica sanitaria presso l’Università teologica di Kampen, nei Paesi Bassi, prima nazione a legalizzare l’eutanasia. La seconda: oggi persone come Zoraya ter Beek vengono tacitamente incoraggiate a suicidarsi da leggi che destigmatizzano il suicidio, da una cultura dei social media che lo rende affascinante e da attivisti radicali per il diritto alla morte che insistono che dovremmo essere liberi: ucciderci ogni volta che le nostre vite sono “complete”.

A persone così........

© Tempi


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