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Troppo in fretta l’omicidio di Giulia Cecchettin ha lasciato il posto alle liturgie di rito. Difficile rivendicare la forza simbolica delle “passeggiate arrabbiate”, il “minuto di rumore”, la “rivolta delle chiavi”, il grido di battaglia “se domani non torno distruggi tutto” sfoggiato con adesione impiegatizia dalle piazze ai social network, nel paese della call-to-action permanente e dei cancelletti un tanto al chilo.

Difficile anche, dopo una settimana di mea culpa ridicoli e confronti impertinenti (gli studenti in piazza per Giulia ricordano alla Stampa la Marea verde per il diritto di aborto in Argentina e la marcia delle donne su Versailles del 1789), capire per esempio cosa c’entrino Giulia Cecchettin o le altre donne uccise quest’anno con la “Marea Transfemminista” convocata da Non una di meno oggi a Roma e Messina, e con gli slogan “Transfemministǝ ingovernabili” e “Palestina libera”.

Per Giulia, l’identità di genere, l’aborto e la Palestina

I video promozionali delle transfemministǝ per la Giornata contro la violenza sulle donne dicono esplicitamente: «Valditara propone l’educazione alle relazioni nel triennio delle superiori, noi invece vogliamo educazione sessuale ed affettiva fin dall’infanzia, partendo dal rispetto delle diversità, la decostruzione degli stereotipi, fino ad affrontare i temi del consenso, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere».

L’obiettivo, chiarisce altrettanto esplicitamente il comunicato di invito alla mobilitazione è la lotta al Governo Meloni, che ha «strumentalizzato gli stupri di Palermo e Caivano», «militarizzando il linguaggio», «accrescendo un antimeridionalismo sempre più feroce e discriminatorio», e tace sulle «misure reali per il contrasto alla violenza», come «il reddito di autodeterminazione, l’allargamento dei criteri di assegnazione per le case popolari», «l’accesso all’aborto continua a essere ostacolato e negato. Nei territori dilaga l’obiezione di coscienza» compromettendo «l’accesso alla salute riproduttiva, sessuale e ai percorsi di affermazione di genere».

Non solo: il governo «ha portato avanti un attacco spietato alle famiglie omogenitoriali fomentando l’omofobia e legittimando le discriminazioni» e poiché «la guerra è la manifestazione più totalizzante della violenza patriarcale, per questo, e più che mai, siamo al fianco del popolo palestinese». “Siamo” ossia «donne, frocie, trans, lesbiche, intersex, asessuali, bisessuali, migranti, sex workers, detenutə, seconde e terze generazioni, persone con disabilità».

Le marchette a Onlyfans e i piantini per Giulia

Uno strano mischione, considerando come se la passano le sorelle palestinesi sotto Hamas. Quanto alle sex workers, e volendo essere bigotti fino in fondo come lo è chi sogna la rieducazione del maschio fin dai banchi di scuola, c’è da chiedersi se una “passeggiata arrabbiata” sia mai stata osata là dove qualcuno arriva ben prima di slogan e “cattive maestre”, prima delle “leggi” e dei “corsi alla sessualità e all’affettività” rivendicati dai collettivi dei licei e annunciati senza battere ciglio dal governo: Tik Tok, per esempio. Dove centinaia di giovanissime «content creators del sito bianco e azzurro» si prestano ai format dei coetanei che campano organizzando limonate tra sconosciuti e trappole per coppie tentate da ragazzine in tanga nell’idromassaggio o dalle telefonate di una “amica”: «Amo, ci sta qui uno che dice che ci dà diecimila a testa per fare sesso a tre. Eh lo so che sei impegnata amo, ma sono diecimila euro».

Uno di questi, tale fidanzato della “professoressa di corsivo” che ciclicamente cattura l’attenzione dei giornali impegnati – per capirci, gli stessi che si gettano come adolescenti in ormone per presentarci Onlyfans quale impresa autodeterminata esemplare sul piano dell’empowerment e poi pubblicano i “mea culpa” degli editorialisti contriti per Giulia «perché siamo uomini» – ha 988,5 mila follower. Massimo Giannini su X ne ha 138,5 mila. Quanti ragazzi avranno meditato sul suo paginone che invita ogni maschio a guardare il film della Cortellesi e poi «guardarsi dentro e dire: “Non temo il Giambruno in sé, temo il Giambruno in me”»?

Tik Tok, il servizio di leva della gioventù allupata

E quanti ragazzini, invece che dentro di sé, preferiscono guardare le ragazze assoldate da questo e centinaia di altri tiktoker che hanno costruito un impero sulle gag del maschio padrone con le fidanzatine nel ruolo delle tettone svampite e sottomesse, tutte a base di doppi sensi sui rapporti orali e anali, ghiaccioli infilati in bocca?

Quanti hanno sentito parlare delle appassionanti prediche sui giovani di Michela Marzano e quanti seguono quelle della tiktoker liceale cintura nera in decostruzione degli stereotipi che si accarezza i glutei lamentandosi che c’è chi preferisce giocare alla playstation piuttosto che toccare quelli? Quanti si svegliano leggendo Repubblica o prendendo sul serio l’ora di Chiamatelacomevolete a scuola, quando appena ricevuto uno smartphone, e col beneplacito di genitori molto moderni e progressisti, si ha accesso a milioni di reel di corpi, bocche languide, quando insomma la parola d’ordine è allupare h24? In altre parole, come si fa a fare i bigotti, “educare e (ri)educare” alla qualunque in redazione, al cinema, a scuola – come auspicano Giannini e compagnia editorialista o le transfemministǝ – se non si considera questo parte del problema?

Chi vede in Turetta il “patriarcato” non sa di cosa parla

Almeno per questo, per porsi due domande su Tik Tok quale servizio di leva della meglio gioventù, non ci vuole una laurea. Cosa che ci vorrebbe invece (insieme a studi, statistiche, esperienze) per non vagheggiare sui giornali scambiando «debolezza per forza», e l’autore di un «delitto confuso e pieno di errori, che finisce in un’autostrada senza benzina», per «un esempio di “patriarcato”». “Il patriarcato uccide” è il titolo della manifestazione convocata oggi a Milano, ma i molti che insistono nella lettura del maschio di potere «non sanno di cosa parlano», ha spiegato Claudio Risé sulla Verità a proposito della «stupefacente campagna di stupidaggini seguita alla morte di Giulia», mentre «gli aspetti patologici della realtà sono sotto gli occhi di tutti»:

«Tutto ciò per nascondere dietro concetti fumosi ma di pronta beva l’enorme bisogno di verità su quali siano oggi le vere condizioni dei rapporti tra uomo e donna: l’humus in cui è maturato il malessere psichico di Filippo (Turetta, ex fidanzato e assassino di Giulia Cecchettin, ndr). Questo è il vero problema: il grave malessere psichico in cui in realtà si trovano oggi sia gli uomini che le donne, la scadente qualità delle loro relazioni, e l’enorme danno che ciò crea alle nuove generazioni, che hanno invece bisogno di madri e padri forti, che si amino e che riprendano in mano le proprie esistenze e quelle dei loro figli. Oggi invece abbandonate agli influencer e agli ingranaggi delle diverse mode e sistemi economico/politici».

Il problema non è il maschio, ma l’adulto

Il problema non è essere maschi, ma essere adulti. La “questione maschile” «è roba seria, e vera», ha spiegato Risé, e tra gli addetti ai lavori (specie dei “gender studies”) «il maschio violento è noto e studiato in quanto “soft male”, maschio dolce, tutt’altro che – di solito – violento». Bisogna dire la verità perché «verità e amore» è «quello che conta, e che solo riesce a far stare insieme due individui così diversi come un uomo e la donna». Non le «dichiarazioni mitomaniache» degli editorialisti e le piazze che scambiano lucciole per lanterne. Il prefetto di Padova, Francesco Messina, facendo “sua Bibbia” la convenzione di Istanbul, ribadisce che «i femminicidi in Italia sono 40. Gli omicidi di donne sono 105, ma il femminicidio è l’omicidio di una donna per motivi di genere. E i femminicidi, purtroppo anche quello di Giulia, sono 40. E sono in diminuzione rispetto all’anno scorso, che sono stati 51. L’emersione è importante ma ci vuole competenza a trattare il fenomeno».

Non si deve fare qualcosa per il 25 novembre, ma si deve e si può fare molto ogni giorno per non abituare l’uomo a ciò che non è umano e resta una giungla. Una giungla in cui, senza punti di riferimento, non si può che crescere nascosti o crescere come belve. Non servono corsi a scuola, prediche o liturgie, ma adulti che orientino, madri, padri col coraggio dell’amore e della verità. Gli esempi ci sono. E nessuna delega ai tiktoker.

Foto Ansa

QOSHE - In piazza contro gli uomini per non dire che il problema sono gli adulti - Caterina Giojelli
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In piazza contro gli uomini per non dire che il problema sono gli adulti

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25.11.2023

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Troppo in fretta l’omicidio di Giulia Cecchettin ha lasciato il posto alle liturgie di rito. Difficile rivendicare la forza simbolica delle “passeggiate arrabbiate”, il “minuto di rumore”, la “rivolta delle chiavi”, il grido di battaglia “se domani non torno distruggi tutto” sfoggiato con adesione impiegatizia dalle piazze ai social network, nel paese della call-to-action permanente e dei cancelletti un tanto al chilo.

Difficile anche, dopo una settimana di mea culpa ridicoli e confronti impertinenti (gli studenti in piazza per Giulia ricordano alla Stampa la Marea verde per il diritto di aborto in Argentina e la marcia delle donne su Versailles del 1789), capire per esempio cosa c’entrino Giulia Cecchettin o le altre donne uccise quest’anno con la “Marea Transfemminista” convocata da Non una di meno oggi a Roma e Messina, e con gli slogan “Transfemministǝ ingovernabili” e “Palestina libera”.

Per Giulia, l’identità di genere, l’aborto e la Palestina

I video promozionali delle transfemministǝ per la Giornata contro la violenza sulle donne dicono esplicitamente: «Valditara propone l’educazione alle relazioni nel triennio delle superiori, noi invece vogliamo educazione sessuale ed affettiva fin dall’infanzia, partendo dal rispetto delle diversità, la decostruzione degli stereotipi, fino ad affrontare i temi del consenso, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere».

L’obiettivo, chiarisce altrettanto esplicitamente il comunicato di invito alla mobilitazione è la lotta al Governo Meloni, che ha «strumentalizzato gli stupri di Palermo e Caivano», «militarizzando il linguaggio», «accrescendo un antimeridionalismo sempre più feroce e discriminatorio», e tace sulle «misure reali per il contrasto alla violenza», come «il reddito di autodeterminazione, l’allargamento dei criteri di assegnazione per le case popolari», «l’accesso all’aborto continua a essere ostacolato e negato. Nei territori dilaga l’obiezione di coscienza» compromettendo «l’accesso alla........

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