La manifestazione Together for Palestina a Stoccolma per chiedere il cessate il fuoco a Gaza e l’esclusione di Israele dall’Eurovision Song Contest (foto Ansa) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Ma che è, l’Eurovision o la Conferenza di Jalta? L’Eurovision è un festival lastricato di bruttissime canzoni e intenzioni peggiori: la musica (o meglio la solfa) è sempre la stessa – sono 68 anni che non vince un cantante ma un vaste programme -, il fine è diffondere la pace intergalattica, il mezzo è la guerra di appelli, boicottaggi, dichiarazioni.

Se vuoi la pace odia Israele

Lontana la ribattezzata “Operazione Pace per Eurovision”, quando in occasione dell’ospitata a Tel Aviv si fermò la doccia di razzi tra Israele e Palestina, a evento controbatterono i controfestival Gazavision, Globalvision, e invece del brano del nostro Mahmood con le parole in arabo vinse quello di un olandese che nuotava nudo nell’acqua.

Lontana insomma l’edizione “israeliana” del 2019, quando il Bds, Movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni a Israele provò ad arruolare anche Madonna, gli ebrei ortodossi protestarono contro la finale che cadeva durante lo shabbat, la gara venne spostata da Gerusalemme alla più gay friendly Tel Aviv e gli islandesi Hatari, un «gruppo di performance artistica anticapitalista» (immaginate un gruppo che si chiama “odio” e gira con borchie, frustini e divise sadomaso: eccoli), brandirono sciarpe palestinesi e cantarono cose superpacifiche come «L’odio prevarrà»,« l’Europa si sbriciolerà» (parentesi, mica l’hanno boicottato, il festival che odiano. No: loro ci sono andati e qualche giorno dopo sono usciti con una canzone realizzata con il musicista Bashar Murad, palestinese queer ma residente a Gerusalemme).

Leggi anche:

I Maneskin e il re del country: la musica rovinata dai moralisti

Eurofestival, o della propaganda canora

Paesi del nord a bomba contro l’Eurovision

Passati cinque anni, insomma, ora la zuffa è seria: dalla Svezia e dalla ridente Malmö, che ospiterà la manifestazione dal 7 al 11 maggio, col suo ghetto di Rosengård e la no-go-area Bennets Väg chiusa ad ambulanze, vigili del fuoco e polizia, oltre mille artisti hanno inviato una lettera alla Svt (l’emittente pubblica svedese) e all’Ebu, l’organizzazione di Eurovision, chiedendo l’esclusione di Israele: tra le altre cose la sua partecipazione «invia il segnale che i governi possono commettere crimini di guerra senza conseguenze». Tra i firmatari che ricordano le quasi 26mila vittime di Gaza e la causa contro Israele presentata alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja dal Sudafrica con l’accusa di genocidio, c’è Malena Ernman, la cantante lirica mezzosoprano che è anche la madre di Greta Thunberg. L’appello fa il paio con quelli per l’espulsione di Israele sottoscritti da migliaia di artisti islandesi e finlandesi.

Due petizioni distinte: la prima ha raccolto circa 10.000 firme (quasi il 3 per cento della popolazione del paese), sostiene che la partecipazione di Israele sia incompatibile con un evento «caratterizzato da gioia e ottimismo» e che se Israele fosse autorizzato a esibirsi, l’Islanda dovrebbe ritirarsi.

Il gruppo islandese Hatari mostra una sciarpa della Palestina in diretta tv durante l’Eurovision 2019 ospitato a Tel Aviv

La lega Finlandia, Regno Unito, Podemos e queer

La seconda, firmata da 1.400 professionisti dell’industria musicale, vuole l’espulsione accusando di doppio standard Israele, tra i primi paesi a scatenarsi contro la partecipazione di Mosca due anni fa. Anche i danesi non lo vogliono vedere in Svezia; il prescelto concorrente del Regno Unito Olly Alexander ha sottoscritto una dichiarazione che accusa lo stato di genocidio; un gruppo di europarlamentari, tra cui quelli spagnoli di Podemos, ne pretendono l’esclusione perché non sia «ripulita la coscienza dalla pulizia etnica e i crimini di guerra compiuti in Palestina». Nel parapiglia spunta una ennesima lettera – questa volta a favore di Israele – firmata da 400 personaggi pubblici, tra cui Gene Simmons, Helen Mirren e Boy George, mentre sui social artisti di ogni nazionalità che hanno partecipato alle edizioni precedenti rilanciano la campagna dell’attivista queer Beatrice Quinn #BanIsraelFromESC.

Leggi anche:

Ve la ricordate Greta Thunberg?

Il verdetto dell’Aja sull’accusa di genocidio a Israele e il Giorno della Memoria

Ci sono più appelli che canzoni in lizza, tutti invocano il protocollo Russia, esclusa dalle edizioni 2022, 2023 (e anche da questa) a causa dell’invasione dell’Ucraina, paese dal quale ovviamente provengono i vincitori dell’Eurovision 2022, la Kalush Orchestra con la canzone Stefania e la vittoria conquistata al televoto. Ma secondo l’Ebu, Israele non è la Russia, l’Eurovision «è un concorso per le emittenti pubbliche di tutta Europa e del Medio Oriente, non per i governi», e quella israeliana, Kan, «soddisfa tutte le regole della competizione». E così alla cantante Eden Golan spetterà l’onere di rappresentare Israele all’Eurovision Song Contest 2024. O forse no.

Eden Golan, 20 anni, è la cantante scelta per rappresentare Israele ad Eurovision 2024

Eden Golan, russa, israeliana e nei guai

Eden Golan ha solo 20 anni, tredici dei quali vissuti a Mosca a causa del lavoro del papà e dalla quale la famiglia è scappata tornando a Tel Aviv appena scoppiata la guerra in Ucraina: troppo russa per gli israeliani, troppo ebrea per i russi che non risparmiavano manifestazioni antisemite, Golan è scappata da una guerra e finita in un’altra e ha deciso di portare all’Eurovision una canzone su cosa è cambiato dal 6 al 7 ottobre, quando, tra gli altri, tre concorrenti reduci dall’audizione per l’Eurovision sono stati massacrati dai terroristi di Hamas al Supernova Music Festival (un altro concorrente, scrive la Bbc, il 26enne Shaul Greenglick, ha abbandonato la gara a dicembre quando ha ripreso il suo servizio di riservista militare, ed è stato ucciso a Gaza il 26 dicembre).

«Non resta più aria per respirare / Nessun posto, nessun me giorno dopo giorno / Erano tutti bravi bambini, ognuno di loro». La canzone di Golan si chiama “Pioggia d’ottobre” e ovviamente l’Eurovision adesso non la vuole ascoltare: pare – scrive il Corriere – che ci sia soprattutto una parola “controversa”, «fiori», termine con il quale gli israeliani chiamano i soldati che combattono nella Striscia, che violerebbe insieme ad altre il regolamento del festival musicale che vieta riferimenti politici nei testi, discorsi, gesti di natura politica o simili (infatti l’Islanda è stata multata per la sciarpa palestinese degli Hatari).

Leggi anche:

«I nostri figli sono nelle mani di Hamas. Preghiamo perché tornino a casa»

Con zappe e vanghe Hamas ha dilaniato i bambini

L’Eurovision è turbogeopolitica

La verità è che da quando esiste l’Eurovision Contest, cioè dal 1956, per promuovere la pace (ai primi setti stati europei si aggiungeranno Turchia, Jugoslavia, Israele e, dalla caduta del Muro, anche tutti i paesi ex sovietici che prima non potevano far parte dell’Unione europea di radiodiffusione) la guerra è una costante e la politica la sua cifra, dalle votazioni alle esibizioni. Gli eventi dell’89 riecheggiarono in quasi tutti i testi dell’edizione 1990 a Zagabria (vinta dal nostro Toto Cutugno con Insieme: 1992 che ripete “Unite Unite Europe”). Nel 1993 la Jugoslavia fu esclusa per l’aggressione alla Bosnia, Sarajevo era sotto assedio, le linee telefoniche facevano schifo ma la giuria bosniaca partecipò lo stesso al voto (il paese arrivò 16esimo con la canzone Sva bol svijeta – All the Pain in the World).

L’Ucraina vince l’Eurovision 2022 con la Kalush Orchestra (foto Ansa)

Nel 1974 il Portogallo portò la ballata E Depois do Adeus di Paulo de Carvalho che arrivò ultima ma avviò la Rivoluzione dei garofani. Nel 2005 il Libano annuncia che non avrebbe trasmesso la canzone di Israele ed fu costretto a ritirarsi. Lo stesso anno l’Ucraina presenta l’inno della Rivoluzione arancione Razom nas bahato -Together we are many. Nel 2009 il brano della Georgia viene escluso per riferimenti politici a Putin, il paese viene invitato a riscriverlo o presentare un’altra canzone, la Georgia si ritira dalla manifestazione. Nel 2016 vince l’Ucraina con la canzone 1944 di Jamala che descrive le deportazioni dei tartari di Crimea da parte di Stalin: evidente il riferimento all’occupazione illegale della Crimea da parte della Russia, ma gli organizzatori non protestano ritenendo il contenuto “storico” invece che politico”.

La politica sta all’Eurovision come la salute ai Maneskin

Nel 2017 l’Ucraina ospita l’evento e vieta l’ingresso alla Russia che si ritira. L’anno scorso il gruppo croato satirico Let3, con la loro Mama ŠČ!, i costumi da grande dittatore di Chaplin e la scritta Ninle, anagramma di Lenin, dileggia la Grande Madre Russia e un tale “piccolo infame psicopatico”, ripetendo “mamma ne vado alla guerra”.

Insomma i riferimenti politici stanno all’Eurovision come la salute ai Maneskin e il folk alle massaie polacche: tolti quelli non c’è proprio nient’altro da dire sull’Eurovision, altrimenti non dovremmo frantumarci le balle ogni anno con l’epopea del festival che nel 1974 “ci ha regalato gli Abba”, “è l’evento stracult e non sportivo più visto”, “il pop salva l’Europa”, soprattutto come è bello questo festival musicale in cui non conta chi canta ma chi le suona.

QOSHE - L’Eurovision ci ha già frantumato le Euroballe - Caterina Giojelli
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

L’Eurovision ci ha già frantumato le Euroballe

7 8
24.02.2024
La manifestazione Together for Palestina a Stoccolma per chiedere il cessate il fuoco a Gaza e l’esclusione di Israele dall’Eurovision Song Contest (foto Ansa) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Ma che è, l’Eurovision o la Conferenza di Jalta? L’Eurovision è un festival lastricato di bruttissime canzoni e intenzioni peggiori: la musica (o meglio la solfa) è sempre la stessa – sono 68 anni che non vince un cantante ma un vaste programme -, il fine è diffondere la pace intergalattica, il mezzo è la guerra di appelli, boicottaggi, dichiarazioni.

Se vuoi la pace odia Israele

Lontana la ribattezzata “Operazione Pace per Eurovision”, quando in occasione dell’ospitata a Tel Aviv si fermò la doccia di razzi tra Israele e Palestina, a evento controbatterono i controfestival Gazavision, Globalvision, e invece del brano del nostro Mahmood con le parole in arabo vinse quello di un olandese che nuotava nudo nell’acqua.

Lontana insomma l’edizione “israeliana” del 2019, quando il Bds, Movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni a Israele provò ad arruolare anche Madonna, gli ebrei ortodossi protestarono contro la finale che cadeva durante lo shabbat, la gara venne spostata da Gerusalemme alla più gay friendly Tel Aviv e gli islandesi Hatari, un «gruppo di performance artistica anticapitalista» (immaginate un gruppo che si chiama “odio” e gira con borchie, frustini e divise sadomaso: eccoli), brandirono sciarpe palestinesi e cantarono cose superpacifiche come «L’odio prevarrà»,« l’Europa si sbriciolerà» (parentesi, mica l’hanno boicottato, il festival che odiano. No: loro ci sono andati e qualche giorno dopo sono usciti con una canzone realizzata con il musicista Bashar Murad, palestinese queer ma residente a Gerusalemme).

Leggi anche:

I Maneskin e il re del country: la musica rovinata dai moralisti

Eurofestival, o della propaganda canora

Paesi del nord a bomba contro l’Eurovision

Passati cinque anni, insomma, ora la zuffa è seria: dalla Svezia e dalla ridente Malmö, che ospiterà la manifestazione dal 7 al 11 maggio, col suo ghetto di Rosengård e la no-go-area Bennets Väg chiusa ad ambulanze, vigili del fuoco e polizia, oltre mille artisti hanno inviato una lettera alla Svt (l’emittente pubblica svedese) e all’Ebu, l’organizzazione di Eurovision,........

© Tempi


Get it on Google Play