Una donna davanti a un seggio di Dublino durante i referendum dell’8 marzo per modificare la Costituzione d’Irlanda (foto Ansa)

Catastrofe in Irlanda: il popolo non vuole smantellare la famiglia. E soprattutto il diritto della donna ad occuparsi della famiglia. «La trionfale secolarizzazione dell’Irlanda ha subito la sua prima, evidente battuta d’arresto», «Medioevo», «linguaggio anni Trenta», «valori famigliari antiquati», «pesanti aspetti veterocattolici», «nozioni di un’epoca passata in netto contrasto con l’Irlanda di oggi», «è subito 1937», «e proprio durante la Giornata internazionale della donna», «Cosa è andato storto?».

Storto? Sono passati cinque giorni dal fatidico 8 marzo, quando il voto dell’Irlanda chiamata a un doppio referendum invece di modificare una Costituzione «sessista» del 1937 in chiave «inclusiva» ha inferto un durissimo colpo all’establishment -, e ancora il governo di Leo Varadkar, i media e le élite non si danno pace.

Famiglia fondata sul matrimonio e “women in the home”

I risultati sono noti: il 67,7 per cento di chi è andato a votare ha bocciato la proposta di estendere il concetto di “famiglia” (articoli 41.1 e 41.3 della Costituzione che riconoscono nei loro passaggi la famiglia fondata sul matrimonio) ad «altre relazioni durature» e di «convivenza fra coppie o con i figli». Soprattutto, il 74 per cento ha bocciato la proposta di eliminare la clausola “women in the home” (art. 41.2), secondo la quale lo Stato riconosce il contributo al bene comune delle donne che si occupano della cura di casa e figli e «si deve sforzare pertanto di garantire che le madri non siano costrette, per necessità economica, ad impegnarsi in un lavoro» trascurando i loro doveri di cura.

Tutti, partiti di maggioranza e opposizione (dal Centrodestra ai Verdi al partito nazionalista di sinistra Sinn Féin, che avevamo ampiamente promosso le consultazioni), commentatori e giornalisti, confidavano nei sondaggi. Tutto – ad eccezione di una dichiarazione contraria dei vescovi letta nelle messe del paese – indicava che la «modernizzazione» del paese fosse dietro l’angolo.

I progressisti parlano di “Irlanda ostaggio delle minoranze”

Invece il 9 marzo l’Irlanda non era più «il primo paese al mondo a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso», il paese della «vittoria dell’uguaglianza, della dignità, del rispetto e della compassione» (copy Amnesty) che aveva votato in massa per il “sì” al referendum sull’aborto, il popolo irlandese non era più «il popolo che ha mostrato che cambiare in meglio è possibile e che ha lanciato un messaggio di speranza al mondo». Il 9 marzo l’Irlanda diventava un paese che «resta indietro», fermo agli anni Trenta, vetero cattolico e che vuole le donne in casa, «casa e famiglia».

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Un paese ostaggio di una minoranza – «il 44,4% contro il semi-plebiscitario 64,1% del cruciale referendum sull’aborto del 2018», sottolinea Il manifesto a proposito dell’affluenza dell’8 marzo – e pure ignorante: «Quesiti confusi», ripetono da giorni osservatori e intellettuali intervistati dai giornali, sostenendo che la formulazione degli emendamenti costituzionali fosse troppo difficile da comprendere per la gente comune, «quando le persone sono confuse, è più probabile che rifiutino il cambiamento» ripete Politico.

Per i tecnocrati woke è colpa della stupidità della gente

«Com’era prevedibile, le élite politiche irlandesi stanno incolpando tutti tranne se stesse per questa sconfitta», ha tuonato il sociologo Frank Furendi in un bel commento per Spiked:

«Il tentativo di attribuire questa sconfitta alle urne alla “confusione” della gente è un implicito attacco alla democrazia. Le élite stanno effettivamente dicendo che gli elettori non capivano quello che stavano facendo. Che semplicemente non sono intelligenti quanto i politici, gli accademici e i commentatori. Questa risposta è fin troppo familiare. Come abbiamo visto nel 2016, quando gli inglesi votarono per la Brexit e gli americani elessero Donald Trump presidente, le élite occidentali sono fin troppo pronte ad attaccare il pubblico e l’istituzione della democrazia se non fornisce il risultato “corretto”».

Per i tecnocrati woke – decisi a smantellare il matrimonio soppiantandolo con concetti banali, ma affatto casuali, quali “relazioni durevoli” – non c’è spiegazione più valida della stupidità della gente comune se le “battaglie di civiltà” si arrestano appena fuori dai palazzi.

«Il matrimonio come fondamento della società»

Ripetono spiazzati che «due quinti dei bambini nascono fuori dal matrimonio e la maggior parte delle donne lavora fuori casa», ma non hanno la minima idea di cosa pensi la gente di questo. «Sì, in Irlanda un numero crescente di bambini nasce fuori dal matrimonio. Ma la maggioranza degli irlandesi vede ancora l’istituzione del matrimonio come il fondamento della società», scrive Furedi.

«In effetti, uno dei motivi per cui i governi hanno potuto istituzionalizzare le opinioni woke delle élite sul genere e sulla vita familiare è perché alle persone viene chiesto assai raramente cosa pensano. Pochi partiti tradizionali sono disposti a dare voce allo scetticismo del pubblico. I valori delle élite sono stati semplicemente imposti alla società dall’alto in nome della “modernizzazione”. Ecco perché tenere un referendum è un esercizio democratico così importante».

I referendum in Irlanda hanno chiarito le idee

Ecco perché i referendum dell’8 marzo hanno chiarito le idee invece di confonderle. È stato scritto che a danneggiare la causa del governo sia stata anche la fuga di notizie alla vigilia del sondaggio: una consulenza legale del procuratore Rossa Fanning avvertiva che gli emendamenti contenevano un linguaggio discutibile che avrebbe potuto creare risultati sorprendenti nei tribunali.

Si è additata la paura di aprire, con la modifica degli enunciati costituzionali, a ricongiungimenti familiari fra migranti, al poliamore, a truffe per tasse ed eredità, all’abbandono dei disabili come un peso da scaricare privatamente sulle famiglie e all’abdicazione dello Stato dei compiti di “assistenza pubblica”. Qualunque peso abbiano avuto queste argomentazioni, l’esito dei referendum ha dimostrato una cosa sola: i media mainstream e l’establishment politico non comprendono il popolo. E non lo comprendono perché non gli chiedono che cosa pensa. Fino al prossimo referendum.

QOSHE - L’Irlanda tiene ancora famiglia - Caterina Giojelli
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L’Irlanda tiene ancora famiglia

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13.03.2024
Una donna davanti a un seggio di Dublino durante i referendum dell’8 marzo per modificare la Costituzione d’Irlanda (foto Ansa)

Catastrofe in Irlanda: il popolo non vuole smantellare la famiglia. E soprattutto il diritto della donna ad occuparsi della famiglia. «La trionfale secolarizzazione dell’Irlanda ha subito la sua prima, evidente battuta d’arresto», «Medioevo», «linguaggio anni Trenta», «valori famigliari antiquati», «pesanti aspetti veterocattolici», «nozioni di un’epoca passata in netto contrasto con l’Irlanda di oggi», «è subito 1937», «e proprio durante la Giornata internazionale della donna», «Cosa è andato storto?».

Storto? Sono passati cinque giorni dal fatidico 8 marzo, quando il voto dell’Irlanda chiamata a un doppio referendum invece di modificare una Costituzione «sessista» del 1937 in chiave «inclusiva» ha inferto un durissimo colpo all’establishment -, e ancora il governo di Leo Varadkar, i media e le élite non si danno pace.

Famiglia fondata sul matrimonio e “women in the home”

I risultati sono noti: il 67,7 per cento di chi è andato a votare ha bocciato la proposta di estendere il concetto di “famiglia” (articoli 41.1 e 41.3 della Costituzione che riconoscono nei loro passaggi la famiglia fondata sul matrimonio) ad «altre relazioni durature» e di «convivenza fra coppie o con i figli». Soprattutto, il 74 per cento ha bocciato la proposta di eliminare la clausola “women in the home” (art. 41.2), secondo la quale lo Stato riconosce il contributo al bene comune delle donne che si occupano della cura di casa e figli e «si deve sforzare pertanto di garantire che le madri non siano costrette, per necessità economica, ad impegnarsi in un lavoro»........

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