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Debora Lombardi, 24enne lucchese, «vive a Bologna ma studia nella nostra città», scrive la Gazzetta di Modena che ha contattato la studentessa di psicologia a Reggio Emilia per «farci raccontare la sua esperienza di vita». Si scrive “esperienza di vita”, si legge OnlyFans e cioè vendersi al club delle pippe, ma sarebbe troppo chiedere a un giornalista che chiama l’intervistata “Debbie” di fare amicizia anche con la realtà.

Lombardi è solo l’ultima delle aspiranti qualcosa che ambiscono a spogliarsi e fare cose sudaticce davanti a una telecamera (ops, «produrre contenuti per adulti») proprio come le loro prozie degli anni Novanta su Italia Gold e il numero 144 in sovrimpressione e che almeno non si ridicolizzavano rilasciando interviste per chiamare tutto questo autodeterminazione, indipendenza, empowerment.

Sapevatelo: OnlyFans insegna ai fuorisede «l’attitudine al lavoro»

Di più: anche lei come le centomila che l’hanno preceduta da più di un anno sui media con la narrazione dello loro mirabolanti imprese da sole o in compagnia – dal Corriere al Fattoquotidiano.it, da Fanpage al Giorno – dice che OnlyFans le ha «insegnato l’attitudine al lavoro», che questa attività iniziata «per caso» è diventata da un anno «un’attività vera e propria: ho aperto la partita Iva, pago le tasse e ci dedico circa otto ore al giorno. Quanto guadagno preferisco non dirlo, ma è più dello stipendio medio».

Perché fare la fuorisede e non il Cepu se da Lucca ti devi trasferire a Bologna e studiare a Reggio Emilia per finire poi a passare 8 ore al giorno in camera a filmartela mandando in vacca tutte le spiegazioni sul farlo – ora dice per «pagare gli studi», ora per «essere indipendente» – resta un mistero. Quello che è certo è che Debora ci ha preso gusto e «finché questa attività mi dà indipendenza non intendo rinunciarci. Anzi, voglio svilupparla. Da qualche tempo, con una socia, faccio da manager a ragazze alle prime armi per aiutarle a crescere nel settore».

Nel settore infatti non ci vuole solo fondoschiena anzi, «il segreto è mostrarsi per quello che si è: intendo dire che non basta far vedere il sedere» (infatti i suoi feticisti, ops, fan «nel mio caso apprezzano i peli sotto le ascelle»). Non è un lavoro «adatto a tutti», serve «capacità psicologica di preservarti da giudizi e discriminazioni», «costanza e dedizione». «Massimo rispetto per chi sceglie di prostituirsi ma io offro un servizio diverso: produco contenuti per adulti e mi spoglio davanti a una telecamera in camera mia».

Da Carol Alt, agé «con gusto», ai maniaci (ops, fan!)

Stesso concetto di indipendenza di Giulia F., una sorta di OnlyFans versione Canto di Natale scodellatoci dalla Stampa: la storia di una «giovane madre single di 32 anni». Con un profilo OnlyFans perché quella cosa davanti alla telecamera è più conciliabile con le sue esigenze di madre di una bambina di due anni dei turni e del salario misero che le offriva il negozio fuori Torino dal quale si è licenziata. O della divisione agé: «Ci sono alcune foto di nudo, ma fatte con gusto. C’è una differenza tra le immagini di cattivo gusto e le immagini di buon gusto», sdottora il sogno erotico degli anni Ottanta Carol Alt. Che all’età di quasi 63 anni ha deciso come un’aspirante psicologa di Lucca qualunque di aprire un account di OnlyFans perché «non voglio essere definita dalla mia immagine di proprietà di qualcun altro. Voglio definire la mia immagine».

Si scrive “definire la mia immagine”, ma cosa si legge chiedetelo a Guè Pequeno: il rapper ha confessato di essere diventato così dipendente dai contenuti hard a pagamento di OnlyFans (ops, di quelle foto di gusto, tutte capacità psicologica e peli sotto le ascelle) da essere stato costretto a scollegare la carta di credito. «Per me, in questo momento, OnlyFans è peggio del gioco d’azzardo», «Il mio commercialista pensava che fossi vittima di una truffa online. Gli dissi di no, che ero io a pagare a ogni ora del giorno, anche alle 4 del mattino», «Molto, migliaia di euro. Meno di diecimila, ma più di cinquemila in un mese», «è la truffa del futuro».

Su OnlyFans arriva Kyrgios con le sue palline

In realtà Guè Pequeno è un pivello al cospetto del gran visir di tutti i guardoni (ops, il «fan numero uno») della rapper Rubi Rose che lo ha voluto incontrare di persona. Lo ha fatto per ringraziarlo della dedizione al suo canale: 62 mila euro è la cifra spesa da questo maniaco (ops, adulto) in un mese, informa il Mattino, il giornale che racconta sempre storie edificanti come questa: «Io e le mie amiche eravamo povere, con OnlyFans guadagniamo migliaia di dollari al mese».

A ingrossare le fila di poveracce, studentesse, madri, starlette e truffatori che solo nell’ultimo mese hanno tenuto condividere sui giornali il loro sbarco su OnlyFans c’è perfino il tennista australiano Nick Kyrgios: «Gli atleti non possono più semplicemente presentarsi in campo. Dobbiamo mostrarci anche online. Voglio creare, produrre, dirigere e possedere contenuti». Si scrive “contenuti” si legge palline e non solo. «Ho parlato direttamente con i miei fan per anni e so cosa vogliono vedere. Certo, ci saranno palline da tennis coinvolte, consigli, trucchi e dietro le quinte, ma potranno anche vedere tutti i diversi lati di me. Il gioco, i tatuaggi, il mio lato intimo: è tutto sul tavolo e porterò con me i fan per il viaggio!».

Guai a chiamarla masturbazione a pagamento

Giusto un anno fa a Tempi ci chiedevamo chi pagasse perché i giornalisti si gettassero gasati come adolescenti in ormone sulle storie del PornHub della porta accanto. Centinaia di articoli e lo schema era sempre lo stesso: io, creator, racconto la mia vita precedente e quanto fosse insoddisfacente fino a quando, per caso, mi sono imbattuta in OnlyFans, e ora guadagno da Dio e sono libera. Lo schema anche oggi resta quello del marketing: offrire qualcosa a chi ha una vita insoddisfacente (come, si spera, la quasi totalità dei lettori che non ha svoltato con la pornografia). Non c’è nessuna notizia da dare, nessun fenomeno da indagare, solo un prodotto da vendere.

Largo quindi allo storytelling di Samuele che smette di svegliarsi alle 5 per fare il lattoniere con papà e passa a guadagnare «21mila dollari al mese» facendo foto per gay, quello di Annalisa che lascia il lavoro di graphic design per arricchirsi con foto fetish dei piedi e girare video lesbo, della poliziotta, la biotecnologa, la barista, l’infermiera, la bancaria, le coppie, le modelle che diventano «milionarie». Tutto grazie a video e foto porno e la masturbazione di chi le guarda a pagamento. Non c’è nulla di male, strepitano giornali, ma guai a chiamarle così.

I pipparoli diventano «mecenati», le spogliarelliste esperte di «cura» e «relazione»

Il massimo lo ha regalato una inchiesta ospitata dalla Fondazione Feltrinelli. Che pur chiarendo bene che OnlyFans non regala affatto le cifre di cui sopra e che la media di lavoro è 40/50 ore «sempre reperibili», colleziona un’infinità di espressioni supercazzola. Si definisce «mecenatismo digitale» la «strategia di business alternativa alla pubblicità» che alimenta la piattaforma, si parla di «performer non professionisti», «ampia eterogeneità dei creator», «nicchie di mercato basate su specifiche caratteristiche estetiche o interessi culturali», «contenuti personalizzati», «atmosfera di disintermediazione e intimità idealizzata che caratterizza le interazioni tra gli utenti». Praticamente la descrizione della Rotary International tutta impegno umanitario e «complessità del processo lavorativo» dove è dimostrata «la centralità del lavoro emotivo e della cura», «l’importanza attribuita alle relazioni interpersonali», «vissuto essenzialmente come un lavoro di cura».

Un briciolo di onestà arriva solo dalla «21enne Eva Generosi di Milano», intervistata da Dagospia, una che dopo aver aperto il suo profilo OnlyFans a 18 anni e 2 mesi pubblicando «sesso esplicito», per «pagarsi gli studi» di ingegneria gestionale – che ovviamente ha mollato – ha cambiato core business: meglio la porno Academy di Rocco Siffredi e costruirsi un solido futuro tra le major del settore Usa che l’hanno già chiamata per provare a “sfondare” anche in America (vi risparmiamo l’altrettanto onesto calembour di Dagospia).

Non sarà Emily Ratajkowski – che a un certo punto si è chiesta se davvero si potesse chiamare “emancipazione” questa autonomia costruita suscitando il desiderio degli uomini e di fatto rimettendo proprio a loro il controllo su di lei – ma almeno si «mostra per quello che si è». Lo step successivo sarebbe anche dirlo (e scriverlo con le parole giuste) quello che si è, che si fa e per chi lo si fa al grido “online non è prostituzione”.

Foto di charlesdeluvio su Unsplash

QOSHE - OnlyFans, OnlyPippe - Caterina Giojelli
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20.12.2023

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Debora Lombardi, 24enne lucchese, «vive a Bologna ma studia nella nostra città», scrive la Gazzetta di Modena che ha contattato la studentessa di psicologia a Reggio Emilia per «farci raccontare la sua esperienza di vita». Si scrive “esperienza di vita”, si legge OnlyFans e cioè vendersi al club delle pippe, ma sarebbe troppo chiedere a un giornalista che chiama l’intervistata “Debbie” di fare amicizia anche con la realtà.

Lombardi è solo l’ultima delle aspiranti qualcosa che ambiscono a spogliarsi e fare cose sudaticce davanti a una telecamera (ops, «produrre contenuti per adulti») proprio come le loro prozie degli anni Novanta su Italia Gold e il numero 144 in sovrimpressione e che almeno non si ridicolizzavano rilasciando interviste per chiamare tutto questo autodeterminazione, indipendenza, empowerment.

Sapevatelo: OnlyFans insegna ai fuorisede «l’attitudine al lavoro»

Di più: anche lei come le centomila che l’hanno preceduta da più di un anno sui media con la narrazione dello loro mirabolanti imprese da sole o in compagnia – dal Corriere al Fattoquotidiano.it, da Fanpage al Giorno – dice che OnlyFans le ha «insegnato l’attitudine al lavoro», che questa attività iniziata «per caso» è diventata da un anno «un’attività vera e propria: ho aperto la partita Iva, pago le tasse e ci dedico circa otto ore al giorno. Quanto guadagno preferisco non dirlo, ma è più dello stipendio medio».

Perché fare la fuorisede e non il Cepu se da Lucca ti devi trasferire a Bologna e studiare a Reggio Emilia per finire poi a passare 8 ore al giorno in camera a filmartela mandando in vacca tutte le spiegazioni sul farlo – ora dice per «pagare gli studi», ora per «essere indipendente» – resta un mistero. Quello che è certo è che Debora ci ha preso gusto e «finché questa attività mi dà indipendenza non intendo rinunciarci. Anzi, voglio svilupparla. Da qualche tempo, con una socia, faccio da manager a ragazze alle prime armi per aiutarle a crescere nel settore».

Nel settore infatti non ci vuole solo fondoschiena anzi, «il segreto è mostrarsi per quello che si è: intendo dire che non basta far........

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