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Paivi Rasanen è stata assolta, ancora una volta. La Corte d’appello di Helsinki ha confermato la sentenza espressa all’unanimità della Corte distrettuale del marzo 2022, respingendo tutte le accuse del pm contro l’ex ministro degli Interni finlandese e il vescovo luterano Juhana Pohjola, entrambi processati per “incitamento all’odio” ad agosto.

Tempi ha raccontato più volte la vicenda della deputata, finita alla sbarra per aver scritto un tweet in cui citava un passo della lettera di San Paolo ai Romani per chiedere alla Chiesa luterana ragioni sulla decisione di sponsorizzare il gay pride del 2019. Tanto era bastato all’armata antiomofobia per infilare nel calderone della discriminazione e incitamento all’odio anche un suo libercolo del 2004, Maschio e femmina li creò, e la sua partecipazione, nel 2018, a una trasmissione televisiva dal titolo “Che cosa penserebbe Gesù degli omosessuali?”.

Le conclusioni della polizia sono sempre state chiare: «Qui nessun crimine è stato compiuto». Non la pensava così il nuovo procuratore generale, Raija Toiviainen, che rinviò a giudizio Rasanen (e con lei il vescovo che aveva pubblicato il suo pamphlet) accusandola di «agitazione contro un gruppo minoritario» ai sensi di una sezione del codice penale finlandese intitolata “crimini di guerra e crimini contro l’umanità” per aver condiviso le sue convinzioni cristiane sul matrimonio. E che dopo il primo verdetto fece ricorso alla Corte d’appello. La Procura, che deve provvedere ora a pagare decine di migliaia di euro per coprire le spese legali sostenute da entrambi gli imputati, potrebbe ricorrere un’ultima volta alla Corte Suprema, entro il 15 gennaio 2024.

L’accanimento giudiziario contro Paivi Rasanen

Durante il controinterrogatorio, è stato chiesto più volte a Räsänen se avrebbe aggiornato o rimosso ciò che aveva scritto nel suo libro e detto in tv. «Al centro dell’esame di Rasanen da parte del pubblico ministero c’era questo: avrebbe ritrattato le sue convinzioni? La risposta era no: non avrebbe rinnegato gli insegnamenti della sua fede. Il controinterrogatorio aveva tutte le sembianze di un processo per “eresia” del Medioevo; era implicito che Rasanen avesse “bestemmiato” contro le ortodossie dominanti dell’epoca», ha commentato Paul Coleman, direttore esecutivo di Adf International (associazione legale che si occupa di difendere le libertà fondamentali e la dignità delle persone nelle aule di tutto il mondo) e membro del team legale di Räsänen.

Sono anni che Coleman presidia la protezione di cui gode la libertà di parola, parte integrante della democrazia finlandese, nel diritto internazionale, e soprattutto la ragione: condannare l’uso della parola “peccato” riportata da Rasanen citando la bibbia non poteva che equivalere a condannare la bibbia stessa e non, come ha inutilmente cercato di dimostrare il procuratore di Stato Anu Mantila, «l’interpretazione criminale» di Rasanen. La corte non ha trovato motivi per contestare la sentenza della corte distrettuale. «Sono profondamente sollevata», ha commentato l’ex ministro. «Non è un crimine twittare un versetto della Bibbia o impegnarsi in un discorso pubblico con una prospettiva cristiana. I tentativi fatti per perseguirmi per aver espresso le mie convinzioni si sono tradotti in quattro anni estremamente difficili, ma la mia speranza è che il risultato costituisca un precedente chiave per proteggere il diritto umano alla libertà di parola. Spero sinceramente che ad altre persone innocenti venga risparmiata la stessa dura prova semplicemente per aver espresso le proprie convinzioni».

La criminalizzazione della libertà di parola

Il caso Rasanen passerà comunque alla storia. La vittoria arriva infatti dopo quattro anni di indagini di polizia, accuse penali, procedimenti e udienze in tribunale, anni di accanimento giudiziario per un caso ridicolo ma con un intento chiaro: punire la libertà di parola e rendere il processo, come spesso accade nelle cause per “incitamento all’odio”, parte della punizione. «In una società libera e democratica, a tutti dovrebbe essere consentito di condividere le proprie convinzioni senza timore di censura», ha ribadito Coleman, autore di Censored: How European Hate Speech Laws are Threatening Freedom of Speech.

«La criminalizzazione della libertà di parola attraverso le cosiddette leggi sull’incitamento all’odio chiude importanti dibattiti pubblici e rappresenta una grave minaccia per le nostre democrazie. Siamo sollevati nel vedere i tribunali applicare lo stato di diritto quando le autorità statali eccedono cercando di penalizzare e censurare le dichiarazioni che non gradiscono».

QOSHE - Paivi Rasanen di nuovo assolta. «Non è un crimine twittare la Bibbia» - Caterina Giojelli
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Paivi Rasanen di nuovo assolta. «Non è un crimine twittare la Bibbia»

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15.11.2023

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Paivi Rasanen è stata assolta, ancora una volta. La Corte d’appello di Helsinki ha confermato la sentenza espressa all’unanimità della Corte distrettuale del marzo 2022, respingendo tutte le accuse del pm contro l’ex ministro degli Interni finlandese e il vescovo luterano Juhana Pohjola, entrambi processati per “incitamento all’odio” ad agosto.

Tempi ha raccontato più volte la vicenda della deputata, finita alla sbarra per aver scritto un tweet in cui citava un passo della lettera di San Paolo ai Romani per chiedere alla Chiesa luterana ragioni sulla decisione di sponsorizzare il gay pride del 2019. Tanto era bastato all’armata antiomofobia per infilare nel calderone della discriminazione e incitamento all’odio anche un suo libercolo del 2004, Maschio e femmina li creò, e la sua partecipazione, nel 2018, a una trasmissione televisiva dal titolo “Che cosa penserebbe Gesù degli omosessuali?”.

Le conclusioni della polizia sono sempre state chiare: «Qui nessun crimine è stato compiuto». Non la pensava così il nuovo procuratore generale, Raija........

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