Alessandro Borghi in Supersex, la serie Netflix ispirata alla vita di Rocco Siffredi @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Dici Rocco Siffredi ed è subito titolo e pensiero complesso: Rocco contro l’astensionismo («Andate a votare in Abruzzo, non fate come me»), Rocco contro Onlyfans («c’è chi mi accusa di essere quasi un prete, ma per me non si gioca con i sentimenti»), Rocco contro la violenza sulle donne («Io ho sempre insegnato ai miei figli che nessuno ci appartiene, mai»), Rocco contro il bodyshaming («Ho avuto rapporti meravigliosi con donne magrissime o sovrappeso, lontane dal canone “classico” di bellezza»), Rocco per il MeToo («ora sul set quattro telecamere per evitare ogni tipo di abuso»), Rocco sgrida il sindaco per il cipresso “moscio” davanti al Duomo di Viterbo («Raddrizzalo!»).

Dici Rocco Siffredi e i giornali spalancano le pagine: Rocco a Ortona, Rocco a Parigi, Rocco in «un non luogo in cui Rocco si perde» (per i grezzi: Favignana), Rocco sulla Ténéré 600, Rocco e la sua infanzia, Rocco e i suoi traumi, Rocco e sua moglie, Rocco e i suoi figli, Rocco e la povertà («dovevamo usare il cervello più dei muscoli»), Rocco e “io”, «io uomo oggetto ma a testa alta». Perché è uscita la serie Supersex su Netflix “liberamente ispirata” alla sua vita e come si fa a non chiedere a Rocco di spiegarci la vita, lui, prof. Rocco, docente alla Siffredi Academy, «progetto educazionale per sciogliere i nodi della sessualità», ci dica cosa ne pensa dei giovani, di noi, dell’Ungheria di Orban dove «alzano i muri invece di abbatterli. Non immagina – sospira al Corriere – quante persone mi scrivono dall’Iran, dalla Turchia o dall’Africa, dicendomi che sognano di diventare come me».

Rocco come Solženicyn nel paese dei bigotti

Gli africani come Rocco! Perché ora Rocco è il nostro Malcom X, Lincoln, Solženicyn: «Dietro quella idealizzazione di uomo, di mascolinità tossica che arrivava dal porno, c’è un essere umano che ha una storia», è il fremente racconto di Alessandro Borghi, uno dei tre attori che interpreta Rocco, in uno degli otto articoli dedicati da Repubblica alla serie sul “Divo che si è alleato con i suoi demoni” (copy Dipollina), «la storia di un uomo che ci mette sette puntate a dire ti amo».

Un tipo, Borghi, di certa scuola hegeliana, che predica cose come «la vera pornografia è la mercificazione dei sentimenti», «del porno abbiamo bisogno come il pane», «la libertà sessuale è un tema scomodo in un paese bigotto», «ho girato nudo senza protesi».

La serie sul «cazzo come sineddoche: Rocco è il cazzo del mondo» (sic)

E tutti giù a fare oh e prendere appunti, modello giornalista di Repubblica, appunto, che per amor di cronaca è andata a bere tè verde al gelsomino nella casa «piena di gatti e di sole» all’Esquilino della sceneggiatrice della serie Francesca Manieri perché «sarà per la legge del karma o per quella del contrappasso ma pare cosa buona e giusta che a denudare l’anima del maschio più maschio di tutti, “Mr. 24 cm” Rocco Siffredi sia una donna, per giunta lesbica e femminista militante». Dalle tavole di Manieri: «Per me Rocco è un’icona tormentata come Marilyn Monroe», «lui è un po’ il cazzo dell’occidente».

Lo ha ribadito anche alla prima alla Berlinale – dove si è parlato anche di “Caino e Abele”, “sintesi plastica del sesso”, “schermo narcisistico” – che la sua serie è sul «cazzo come sineddoche: Rocco è il cazzo del mondo», «È colui che ci rivela cos’è il maschile già da quel battesimo che è un atto mitopoietico, e poi con quel cazzo che è un dispositivo caldo, emotivo», volto a «decostruire la mascolinità», «che dà voce alle nostre domande collettive e finisce per creare uno strappo melanconico: gli uomini non sono più liberi delle donne, sono solo costretti ad essere più violenti».

Avete capito? No? Nemmeno noi. Così abbiamo visto Supersex.

Chehadetto? Supersex è tutto sfiatazzi neorealisti

Supersex è una di quelle serie “Chehadetto?”, tutte sfiatazzi, frasi smozzicate, dialoghi sporchi, ansimate, di quelle che pensi a Suburra, Romanzo criminale, Virzì, Tornatore, Totti in bicicletta in salita, poi leggi che la sceneggiatrice si è ispirata ai racconti di formazione maschile ispirati a C’era una volta in America e Rocco e i suoi fratelli e dici “ah ecco, è cinema d’autore”, quindi neorealismo, quindi ti rassegni al linguaggio dei segni e alla espressivissima protusione dei bulbi oculari di Rocco che ad ogni cosa reagisce facendo cosacce.

A proposito di cosacce, complimenti alla vita sessuale dei giornalisti che si sono ostinati a chiamarlo «porno senza il porno»: cinquanta scene di sesso spinto in 95 minuti di girato davanti, dietro, in solitaria, a due, tre, quattro, cinque o a frotte suonano in effetti come Tutti insieme appassionatamente senza suore, nazisti e scale di do maggiore.

La stirpe Tano di «di falliti e deficienti» che piacciono alle sceneggiatrici dell’Esquilino

Trama: Rocco è un bel bambino della famiglia Tano di Ortona, Abruzzo, una di quelle stirpi di «di falliti e deficienti» (copy babbo di Rocco su Netflix) che piacciono tanto alla sfiga e alle sceneggiatrici dell’Esquilino. Rocco ha tanti fratelli ma due in particolare che segneranno tragicamente il suo destino. Tragicamente perché tragica è la storia di entrambi nonché di Rocco che trova maggior requie nel fotoromanzo porno anni 70 Supersex lanciatogli da un camionista di notte che in un paese dove i preti lo cazziano, la mamma non lo guarda, il padre figuriamoci, gli zingari lo menano e tirano a turno il pene («Rocché, ora hai il cazzo più lungo del mondo», lo consola il fratello-mito Tomà).

Non trova pace a Parigi tra tutte quelle signorine à la Visconti che si occupano della sua formazione tra vicoli e club di scambisti, sul set, durante gli orgasmi a comando e col cronometro, in casa di Tomà e moglie (Adriano Giannini e Jasmine Trinca). Nemmeno spogliandosi sulle note affatto scontate de Il cobra non è un serpente, in piscina con trenta mani smaltate addosso, al cimitero, con la boule dell’acqua calda sulle parti basse dopo aver ricordato a modo suo che «sei solo carne» a una che passava di lì. Nemmeno con Moana Pozzi («a te il sesso non piace», «sarà il nostro segreto») e nemmeno quando urina dal tetto all’alba sullo skyline di Parigi in una scenografia da Le ali della libertà. Il resto non lo raccontiamo perché chi siamo noi per privarvi del piacere di assistere di persona a tale poesia, e prosodia e mitopoiesi? (ma soprattutto di esegesi come questa).

La statua di Giulietta a Verona, “bucata” dalle palpate dei turisti (Ansa)

Giulietta e la palpata sessista

Anche perché di amore si crepa. Mentre guardiano Rocco e ci vediamo Sant’Agostino e nella pornografia l’êthos-demone per l’uomo, a Verona c’è chi guarda la statua di Giulietta e ci vede The best of Rocco prima di quella vicenda del karma, insomma una sporcacciata. Il fatto è che Giulietta «ha i buchi»: la palpata beneaugurante dei turisti (ops, “l’usanza sessista“) al suo seno destro hanno forato il metallo. Dice, facciamo una protesi e invece no, apriti cielo: «C’è un tema di approccio alla statua, che non è solo relativo a un’usura fisica – dice l’assessora alla cultura Marta Ugolini – ma anche simbolica».

«Migliaia di mani ogni giorno, milioni di mani ogni anno. E lei sempre lì, imperturbabile, a favor di selfie», denuncia Repubblica. Il Corriere apre l’inchiesta: «Basta toccatine selvagge», «sì alle foto, no a toccarla», «è un gesto sessista, manca il senso del rispetto: un ragazzo le metteva un dito nel naso», «Per la parità, io proporrei di aggiungere la statua di Romeo, lasciandolo alla mercé delle manate di tutti», dicono turisti, commercianti, abitanti.

Una statua da un selfie e via

Fino all’idea della vicesindaca e assessora alla parità di genere Barbara Bissoli. La riportiamo tutta, perché l’articolo era su Rocco ma oltre a Supersex su Netflix c’è anche Romeo è Giulietta di Giovanni Veronesi al cinema e qui ci teniamo alla parità di genere:

«Giulietta è il simbolo dell’amore e attraverso questo simbolo si può fare leva verso un nuova sensibilità e educazione al rispetto. Penso, dunque, che si potrebbe cogliere l’occasione per sollecitare una riflessione su concetti basilari nei rapporti interpersonali, come il rispetto nei confronti delle donne e il consenso delle donne negli approcci; l’idea è cioè di esporre nei pressi della statua un messaggio di Giulietta a chi si avvicini alla stessa, nel quale la fanciulla dichiara il suo consenso ad alcuni comportamenti rispettosi, come per esempio l’essere fotografata, presa per mano o sottobraccio. Nessun divieto, ma una chiara dichiarazione di consenso per alcuni determinati comportamenti rispettosi».

Insomma, se vendi film di te che fai sesso infilando la faccia di una donna nel water è libertà esistenzialismo, se tocchi una statua è molestia. Se dici Rocco o dici Giulietta, non sarà mai solo pornografia o metallo usurato dai turisti, ma iconologia e pensiero complesso. In fondo la morale è la stessa che ci assale dai tempi di Shakespeare fin nel vicolo più zingaro di Ortona: ognuno ha le proprie perversioni.

QOSHE - Rocco e Giulietta - Caterina Giojelli
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Rocco e Giulietta

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10.03.2024
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Dici Rocco Siffredi ed è subito titolo e pensiero complesso: Rocco contro l’astensionismo («Andate a votare in Abruzzo, non fate come me»), Rocco contro Onlyfans («c’è chi mi accusa di essere quasi un prete, ma per me non si gioca con i sentimenti»), Rocco contro la violenza sulle donne («Io ho sempre insegnato ai miei figli che nessuno ci appartiene, mai»), Rocco contro il bodyshaming («Ho avuto rapporti meravigliosi con donne magrissime o sovrappeso, lontane dal canone “classico” di bellezza»), Rocco per il MeToo («ora sul set quattro telecamere per evitare ogni tipo di abuso»), Rocco sgrida il sindaco per il cipresso “moscio” davanti al Duomo di Viterbo («Raddrizzalo!»).

Dici Rocco Siffredi e i giornali spalancano le pagine: Rocco a Ortona, Rocco a Parigi, Rocco in «un non luogo in cui Rocco si perde» (per i grezzi: Favignana), Rocco sulla Ténéré 600, Rocco e la sua infanzia, Rocco e i suoi traumi, Rocco e sua moglie, Rocco e i suoi figli, Rocco e la povertà («dovevamo usare il cervello più dei muscoli»), Rocco e “io”, «io uomo oggetto ma a testa alta». Perché è uscita la serie Supersex su Netflix “liberamente ispirata” alla sua vita e come si fa a non chiedere a Rocco di spiegarci la vita, lui, prof. Rocco, docente alla Siffredi Academy, «progetto educazionale per sciogliere i nodi della sessualità», ci dica cosa ne pensa dei giovani, di noi, dell’Ungheria di Orban dove «alzano i muri invece di abbatterli. Non immagina – sospira al Corriere – quante persone mi scrivono dall’Iran, dalla Turchia o dall’Africa, dicendomi che sognano di diventare come me».

Rocco come Solženicyn nel paese dei bigotti

Gli africani come Rocco! Perché ora Rocco è il nostro Malcom X, Lincoln, Solženicyn: «Dietro quella idealizzazione di uomo, di mascolinità tossica che arrivava dal porno, c’è un essere umano che ha una storia», è il fremente racconto di Alessandro Borghi, uno dei tre attori che interpreta Rocco, in uno degli otto articoli dedicati da Repubblica alla serie sul “Divo che si è alleato con i suoi demoni” (copy Dipollina), «la storia di un uomo che ci........

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