Il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (Ansa)

La Regione Emilia-Romagna, con l’istituzione del “COREC – Comitato regionale per l’etica nella clinica” [dando competenza regionale al già esistente Comitato etico dell’Azienda sanitaria di Reggio Emilia !?] e l’invio delle “linee di indirizzo per la gestione delle richieste di suicidio medicalmente assistito” alle periferiche Aziende sanitarie, ha inteso completare un fantomatico percorso per l’applicazione della sentenza numero 242 del 2019 della Corte Costituzionale, nel dichiarato scopo di garantire al malato il diritto di congedarsi dalla vita.

Dopo i naufragati tentativi legislativi di altre Regioni, che pur nella loro giuridica infondatezza almeno avevano il pregio di sottostare ad un confronto democratico, in Emilia-Romagna si tenta ora la via amministrativa, come se effettivamente esistesse in Italia un diritto al suicidio medicalmente assistito per cui approntare i relativi servizi a carico della Sanità pubblica, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale sul caso Cappato – DJ Fabo.
Tale presupposto è inesistente e gravissimo è l’errore in cui stanno incorrendo la Giunta Regionale e i Dirigenti della Sanità regionale: infatti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 22/11/2019 non è stato riconosciuto alcun diritto al suicidio assistito né vi sono per la Regione, in assenza di specifica normativa statale, compiti attuativi di tale sentenza nel gestire ipotetiche richieste di suicidio medicalmente assistito.

Autorevoli giuristi già si sono occupati in questa materia della incostituzionalità delle scorciatoie regionali rispetto alla competenza esclusiva del Parlamento, come pure i loro approfondimenti ci possono aiutare a meglio comprendere l’effettivo contenuto e la portata del pronunciamento della Corte Costituzionale [vorrei qui ricordare anche solo gli interventi nei mesi trascorsi del Prof. M. Ronco, dell’Avv. D. Menorello, del Prof. F. Farri e della Prof. F. Piergentili, facilmente reperibili sul sito www.centrostudilivatino.it].

Potrebbe però bastare anche la semplice lettura della sentenza per rendersi conto che la Consulta è intervenuta in merito ad una circoscritta area di non conformità costituzionale della fattispecie criminosa riguardante l’aiuto al suicidio, che resta quindi ancora disciplinato come reato dall’art. 580 del vigente codice penale ma non punibile in determinate specifiche condizioni, senza però comportare l’introduzione nel nostro ordinamento del diritto alla morte, né tanto meno del diritto al suicidio assistito.

Infatti nel richiamare quanto già anticipato con l’Ordinanza n. 207 del 2018 la stessa Consulta ha ribadito testualmente quanto segue: “Dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire. Che dal diritto alla vita, garantito dall’art. 2 CEDU, non possa derivare il diritto di rinunciare a vivere, e dunque un vero e proprio diritto a morire, è stato, del resto, da tempo affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio in relazione alla tematica dell’aiuto al suicidio (sentenza 29 aprile 2002, Pretty contro Regno Unito).” (cfr. par. 2.2 della sentenza).

Esattamente il contrario di quanto il Presidente e l’Ass.re alla Sanità della Regione ER ritengono di porre come presupposto della loro iniziativa, che non solo stravolge la pronuncia della Corte Costituzionale, ma tenta di determinare per via amministrativa quello che spetterebbe esclusivamente al Parlamento stabilire.
I vertici della Regione ER non sanno leggere? O non avendo letto ignorano forse i contenuti del pronunciamento della Consulta? No di certo.

Dopo il fallimento delle iniziative legislative delle Regioni Friuli Venezia-Giulia e Veneto, si tratta di una ulteriore forzatura politico-ideologica irrispettosa dell’Ordinamento e della ripartizione delle Competenze: ennesima dimostrazione di quale sia il concetto di “legalità” a cui si ispirano certe correnti di pensiero, che si autoproclamano democratiche e progressiste, ma che sistematicamente ostacolano l’applicazione delle norme da loro non condivise o pretendono di superarle promuovendo comportamenti vietati, a volte persino ricorrendo alla creatività di qualche Giudice di merito ovvero al contrario disattendendo il vaglio autorevole della Corte di Cassazione o della stessa Corte Costituzionale. Esempi eloquenti si trovano non solo a proposito del fine-vita, ma anche negli ambiti della prevenzione dell’aborto, della fecondazione eterologa, della trascrizione delle nascite provenienti dalla pratica dell’utero in affitto e delle necessarie diversificazioni fra famiglia e convivenza omosessuale.

Se davvero la Regione ER avesse voluto applicare in buona fede le indicazioni della Corte Costituzionale, conformandosi al testo della sentenza n. 242/2019, avrebbe dovuto limitarsi a pianificare l’espletamento delle particolari attività ivi indicate a carico della Sanità pubblica e necessariamente connesse ai procedimenti penali per il reato di aiuto al suicidio instaurati successivamente alla sentenza stessa e nelle more di una Legge in materia [sarebbe interessante sapere quanti in Emilia-Romagna !!?], anziché organizzare in maniera surrettizia e illegittima una raccolta generalizzata delle istanze di suicidio medicalmente assistito.

Concorre a svelare un intento difforme dalle indicazioni della Corte Costituzionale anche l’assenza di un collegamento strutturale, in chiave preventiva e dissuasiva dei potenziali casi, con la concreta attuazione della L. 22 dicembre 2017 n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), con particolare riferimento all’art. 2 in cui è previsto che debba essere sempre garantita al paziente un’appropriata terapia del dolore e l’erogazione delle cure palliative previste dalla L. n. 38 del 2010 (e da questa incluse, come ricordato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza qui menzionata, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza).

La speranza che il buon senso e il diritto facciano fare spontaneamente alla Regione ER un passo in dietro è labile, ma se in materia così delicata resta sempre e solo il braccio di ferro anche giudiziale c’è da chiedersi che spazio mai potrà avere il confronto e il dialogo politico quando neppure vengono rispettati i paletti costituzionali e le regole istituzionali che dovrebbero segnare un cammino comune.

Ringrazio per l’attenzione e porgo cordiali saluti.

Avv. Andrea Taddeo, presidente del centro di Aiuto alla Vita – Forlì ODV

È un pasticcio megagalattico sotto vari punti di vista. Un altro, ulteriore, che fa capire quanto non solo ideologica ma persino truffaldina sia la delibera dell’Emilia-Romagna, è la questione che coinvolge il Comitato nazionale di Bioetica. Come abbiamo già spiegato, nella sua delibera l’Emilia-Romagna ha citato un documento del Cnb per avvalorare la propria posizione sull’istituzione di un Comitato etico regionale. Il problema è che ha citato la parte della posizione espressa dalla minoranza e non dalla maggioranza del Cnb. Nel suo intervento in aula in Consiglio regionale, la consigliera Valentina Cataldini aveva già fatto notale la clamorosa svista (eufemismo) all’assessore Donini che, per tutta risposta, aveva ri-citato solo le frasi incriminate, dando così, senza volerlo, ragione a Castaldini.

Ieri il Cnb ha emanato un comunicato che qui sotto riproduciamo. Aggiungo solo che, oggi, sui giornali Donini ammette di fatto l’errore, derubricandolo a questione formale. Questione formale? Che in una delibera che introduce il suicidio assistito nella regione sia scritto il falso è un “errore formale”? Tutto ciò è incredibile.

Ecco il comunicato del Cnb:

«In merito alla Delibera n. 194 del 05/02/2024, emessa dalla Giunta Regionale della Regione Emilia Romagna in tema di “Costituzione del Comitato Regionale per l’etica nella clinica”, nella quale viene citata la Risposta del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) al quesito posto dal Ministero della Salute in tema di applicazione della sentenza n. 242/2019, la presidenza del Comitato osserva quanto segue: la presidenza del CNB apprezza l’intento di tenere conto della Risposta elaborata dal Comitato in data 24/02/2023. Tuttavia, rileva che il riferimento alla suddetta Risposta risulta improprio, in quanto va nella direzione opposta rispetto a quella indicata dal documento stesso. La Riposta del CNB, infatti, individuava come organo per la valutazione delle condizioni previste dalla sentenza i CET (Comitati Etici Territoriali) e non invece i Comitati di etica clinica, per le ragioni espresse nella Risposta medesima, ovvero evitare di avvalersi di comitati che presentano notevoli differenziazioni territoriali.

L’indicazione dei Comitati di etica clinica veniva, invece, auspicata da sette membri dissenzienti in una postilla che è stata inopinatamente citata dalla dgr 194/24 come riferita alla volontà finale dello stesso Comitato di Bioetica. La presidenza del CNB esprime profonda preoccupazione per la lettura incongrua del documento approvato ed esorta la Giunta regionale a rettificare l’improprio riferimento».

QOSHE - La delibera di Bonaccini sul fine vita è un pasticcio megagalattico - Emanuele Boffi
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La delibera di Bonaccini sul fine vita è un pasticcio megagalattico

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15.02.2024
Il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (Ansa)

La Regione Emilia-Romagna, con l’istituzione del “COREC – Comitato regionale per l’etica nella clinica” [dando competenza regionale al già esistente Comitato etico dell’Azienda sanitaria di Reggio Emilia !?] e l’invio delle “linee di indirizzo per la gestione delle richieste di suicidio medicalmente assistito” alle periferiche Aziende sanitarie, ha inteso completare un fantomatico percorso per l’applicazione della sentenza numero 242 del 2019 della Corte Costituzionale, nel dichiarato scopo di garantire al malato il diritto di congedarsi dalla vita.

Dopo i naufragati tentativi legislativi di altre Regioni, che pur nella loro giuridica infondatezza almeno avevano il pregio di sottostare ad un confronto democratico, in Emilia-Romagna si tenta ora la via amministrativa, come se effettivamente esistesse in Italia un diritto al suicidio medicalmente assistito per cui approntare i relativi servizi a carico della Sanità pubblica, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale sul caso Cappato – DJ Fabo.
Tale presupposto è inesistente e gravissimo è l’errore in cui stanno incorrendo la Giunta Regionale e i Dirigenti della Sanità regionale: infatti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 22/11/2019 non è stato riconosciuto alcun diritto al suicidio assistito né vi sono per la Regione, in assenza di specifica normativa statale, compiti attuativi di tale sentenza nel gestire ipotetiche richieste di suicidio medicalmente assistito.

Autorevoli giuristi già si sono occupati in questa materia della incostituzionalità delle scorciatoie regionali rispetto alla competenza esclusiva del Parlamento, come pure i loro approfondimenti ci possono aiutare a meglio comprendere l’effettivo contenuto e la portata del pronunciamento della Corte Costituzionale [vorrei qui ricordare anche solo gli interventi nei mesi trascorsi del Prof. M. Ronco, dell’Avv. D. Menorello, del Prof. F. Farri e della Prof. F. Piergentili, facilmente reperibili sul sito www.centrostudilivatino.it].

Potrebbe però bastare anche la semplice lettura della sentenza per rendersi conto che la Consulta è intervenuta in merito ad una circoscritta area di non conformità costituzionale della fattispecie criminosa riguardante l’aiuto al suicidio, che resta quindi........

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