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«Silenzio o ti ammazziamo». Così 15 soldati israeliani hanno risposto a Lulu Aranki Nasir, le armi cariche puntate contro la sua testa, quando la donna ha cercato di capire perché stavano facendo irruzione in casa sua alle 4 del mattino. Era il 7 aprile. I soldati non hanno spiegato nulla, né a lei né al marito, e sono usciti trascinando via la figlia Layan Nasir, 23 anni, dopo averla bendata e ammanettata. Sono passate due settimane dall’arresto e i genitori non sanno nulla della figlia, perché non ne hanno diritto in base alle regole draconiane della detenzione amministrativa in Israele.

«Siamo in guerra, non possiamo farci niente»

La famiglia palestinese, metà cattolica e metà anglicana, vive a Birzeit, città della Cisgiordania situata 25 km a nord di Gerusalemme. Il giorno dell’arresto, anche il padre di Layan, Sami Nasir, ha cercato di ottenere spiegazioni, ma con un mitra puntato alla tempia è stato ridotto al silenzio: «Siamo in guerra, non possiamo farci niente», gli avrebbe detto un soldato israeliano, secondo quanto riportato dal Guardian.

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La madre non ha potuto neanche guardare la figlia un’ultima volta prima che la giovane venisse portata via. Layan ha potuto parlare il giorno seguente all’arresto con il suo avvocato per un solo minuto: gli ha detto di essere nella prigione di Ofer, anche se successivamente è stata spostata in quella di Damon, il carcere principale per le donne palestinesi trattenute in Israele.

La detenzione amministrativa in Israele

La detenzione amministrativa in Israele permette di detenere un sospetto per sei mesi, anche in assenza di accuse specifiche o di un processo. Un tribunale militare può rinnovare la misura detentiva per anni. La detenzione amministrativa ha carattere preventivo e può scattare non solo quando sussiste il sospetto che una persona abbia commesso un reato, ma anche quando vi sia il sospetto che potrebbe compiere un reato in futuro. La valutazione spetta alle autorità militari, che possono agire anche in assenza di prove.

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I genitori di Layan, al pari dei legali della giovane, non hanno infatti ricevuto alcuna notifica sulle accuse a carico della figlia né sul luogo dove è rinchiusa. Sono i suoi avvocati che, dopo aver fatto richiesta di visitare il carcere di Damon, hanno ottenuto la conferma che la ragazza si trova lì.

L’intervento dell’arcivescovo di Canterbury

Prima della strage del 7 ottobre, nelle carceri israeliane si trovavano 1.320 persone in detenzione amministrativa, secondo quanto riportato da Addameer, Ong palestinese che si batte per la difesa dei diritti dei prigionieri. A marzo, il numero è salito a 3.558, «tra i quali circa 40 bambini e almeno 20 donne».

Layan sarebbe l’unica palestinese cristiana in carcere e il suo caso, come quello di tanti altri, sarebbe passato sotto silenzio se l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, non fosse intervenuto pubblicamente: «Sono scioccato e profondamente preoccupato», ha scritto su X. «Per piacere, pregate per la sicurezza di Layan e per il suo rapido rilascio».

«Israele può venirci a prendere in ogni momento»

La ragazza nel 2021 era stata accusata di appartenere a un’associazione studentesca di sinistra dell’università di Birzeit, il Polo studentesco democratico e progressista, messo al bando dalle autorità israeliane nel 2020 ma non dall’autorità palestinese. Detenuta per due mesi, era stata rilasciata su cauzione e fino a oggi non è mai stata condannata né scagionata.

Dieci giorni dopo essere stata portata via da casa, il 17 aprile, Layan avrebbe dovuto presentarsi in tribunale come già fatto diverse volte in passato. Le autorità israeliane avrebbero potuto trattenerla in quel momento, ma hanno preferito condurre il raid notturno.

«Potete immaginarvi quanto siano vulnerabili le nostre vite sotto una simile occupazione?», ha dichiarato Xavier Abu Eid, scienziato politico, ex consigliere dell’Organizzazione per la liberazione della palestina e parrocchiano di Birzeit. «Gli israeliani possono arrivare in ogni momento, entrare in qualunque casa, senza dare spiegazioni, prendere una persona, portarla in un posto sconosciuto e tenerla in carcere per mesi senza neanche accusarla di niente».

La famiglia di Layan si è affidata alla Chiesa, perché facesse pressione sulle autorità israeliane per ottenere il rilascio della figlia. Ma nutre poche speranze sul suo futuro. L’unico modo per riaverla a casa, secondo il padre Sami Nasir, è la firma di una tregua tra Israele e Hamas. Layan a quel punto potrebbe essere inserita in uno scambio di prigionieri.

«Speriamo venga liberata al termine della guerra»

Secondo quanto riportato dal New York Times, durante lo scambio di prigionieri di novembre – 105 ostaggi rapiti da Hamas per 240 palestinesi detenuti da Israele – 107 ragazzi palestinesi liberati avevano tra i 14 e i 17 anni, 71 erano donne. I tre quarti dei prigionieri liberati erano detenuti senza accuse.

«Quando si raggiunge un accordo, le donne vengono sempre liberate per prime», dà voce alla sua flebile speranza il padre di Layan. «Speriamo torni libera nel caso in cui finisca la guerra a Gaza».

@LeoneGrotti

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«Silenzio o ti ammazziamo». Così Israele ha portato via la cristiana Layan

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24.04.2024
Layan Nasir, cristiana palestinese detenuta in Israele @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

«Silenzio o ti ammazziamo». Così 15 soldati israeliani hanno risposto a Lulu Aranki Nasir, le armi cariche puntate contro la sua testa, quando la donna ha cercato di capire perché stavano facendo irruzione in casa sua alle 4 del mattino. Era il 7 aprile. I soldati non hanno spiegato nulla, né a lei né al marito, e sono usciti trascinando via la figlia Layan Nasir, 23 anni, dopo averla bendata e ammanettata. Sono passate due settimane dall’arresto e i genitori non sanno nulla della figlia, perché non ne hanno diritto in base alle regole draconiane della detenzione amministrativa in Israele.

«Siamo in guerra, non possiamo farci niente»

La famiglia palestinese, metà cattolica e metà anglicana, vive a Birzeit, città della Cisgiordania situata 25 km a nord di Gerusalemme. Il giorno dell’arresto, anche il padre di Layan, Sami Nasir, ha cercato di ottenere spiegazioni, ma con un mitra puntato alla tempia è stato ridotto al silenzio: «Siamo in guerra, non possiamo farci niente», gli avrebbe detto un soldato israeliano, secondo quanto riportato dal Guardian.

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