Nonostante il regime cubano continui a lavorare assiduamente per garantire che il mondo rimanga disinformato sulla realtà della vita della stragrande maggioranza dei cubani, a volte nella Storia con la esse maiuscola la realtà supera le narrative. Da giorni, migliaia di cubani sono tornati a sfidare la repressione della dittatura al grido di «patria e vita», manifestando contro il regime di Miguel Díaz-Canel e circondando numerose sedi del Partito Comunista a Santiago de Cuba e in altre città dell’Oriente cubano, il più misero.

Cuba al buio e senza cibo. E il regime reprime le manifestazioni

Come l’11 luglio 2021, i cubani stanno dunque scendendo di nuovo in piazza per protestare in massa contro la dittatura comunista che lascia il popolo nella fame e nell’oscurità (l’ultimo blackout è stato di 20 ore). E sono state proprio la scarsità di cibo e i blackout sempre più frequenti nell’isola a scatenare le proteste iniziate sabato notte a Santiago de Cuba e alle quali si sono aggiunte anche Bayamo, Santa Marta, Marianao e decine di altre città. E, come previsto, la risposta del regime castrista è stata immediata.

Leggi anche:

«Cuba merita pace e libertà». Il duro appello della Chiesa al regime

«Abbasso la dittatura. Non ci lasciano vivere». Protesta senza precedenti a Cuba

Le comunicazioni e Internet sono stati interrotti per cercare di impedire al mondo di scoprire cosa sta succedendo all’interno dell’isola, ma a quel punto molti video circolavano già sui social network. «Abbiamo a malapena Internet, nel caso in cui tagliassero ogni accesso posso solo dire che se Santiago de Cuba è stata la “culla” della Rivoluzione, secondo la propaganda ufficiale… forse potrebbe esserne la tomba. Culla e tomba», ha scritto la giornalista Yoani Sánchez sul suo account X. Ma alla dittatura i blocchi delle comunicazioni non bastano. Come ha diffuso sui suoi social network Prisoners Defenders, le forze militari del regime si sono dedicate nella notte alla persecuzione e al tentativo di sequestrare i manifestanti.

L’appello di suor Nadieska: «Diciamo: basta»

La realtà supera le narrative dunque. Lo scorso novembre, alla Revisione periodica universale di Cuba, meccanismo Onu che aveva rivisto la situazione dei diritti umani nell’isola caraibica, solo Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia e Stati Uniti esortarono il regime dell’Avana a cessare le sue violazioni dei diritti umani fondamentali, liberare i prigionieri politici e ratificare il Patto internazionale sui diritti civili e politici. Tutti gli altri paesi parteciparono a una parata per i presunti risultati di Cuba sui diritti umani, con interventi vergognosi di Iran, Cina, Russia e Brasile, che menzionarono come positivi l’adozione della nuova costituzione del 2019 e l’aggiornamento del codice della famiglia con un approccio più liberale al genere e alla sessualità. Peccato che la nuova costituzione indebolisca le protezioni della libertà religiosa della precedente Magna Carta e che il nuovo codice della famiglia consenta ora allo stato di prendere in custodia i bambini i cui genitori rifiutano l’indottrinamento comunista. Per comprendere la realtà meglio dunque le testimonianze di alcuni religiosi.

Leggi anche:

Cuba, il regime chiama a testimoniare una bambina di tre anni

A Cuba il comunismo ha tolto alla gente anche il pane appena sfornato

Suor “coraggio” Nadieska Almeida Miguel, superiora della congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli a Cuba, ha lanciato un appello su Facebook qualche giorno fa affinché si agisca di fronte alla grave crisi umanitaria che affligge l’isola. «Visto che abbiamo già toccato così tanto il fondo, dobbiamo alzare la testa e guardare, prendere coscienza che resistere non è la soluzione». Nell’appello suor Almeida ha esortato a cercare «dialogo, cammini» e «non più tacere la verità: non rimaniamo più in silenzio. Con rispetto e coraggio diciamo: basta». La dura realtà esposta da suor Nadieska non è nuova per lei, vittima di violenze da parte del regime per aver alzato la voce il 15 novembre 2022, durante la Marcia Civica per il Cambiamento repressa dal regime, quando fu molestata da rappresentanti del Partito Comunista. Nonostante i rischi, suor Almeida alza la sua voce come un faro di speranza e determinazione per un popolo che chiede cambiamenti e soluzioni a una crisi oramai entrata in una nuova fase, la più preoccupante degli ultimi 60 anni.

La testimonianza di padre Alberto Reyes Pías

Padre Alberto Reyes Pías, prete coraggio di Camagüey che da anni denuncia le storture del regime comunista di Cuba, ha rilasciato un’intervista illuminante alla tv cattolica Ewtn: «Cuba soffre la fame, la gente ha fame e quella Cuba paradisiaca della televisione e della propaganda internazionale non esiste. Ma ciò che mi fa più male è la mancanza di speranza con la gente che sente di non poter fare nulla perché ha le mani legate e ha molta paura. Anche perché le volte in cui si è sollevata per dire “Voglio libertà, voglio un altro sistema” li hanno messi a tacere con botte e carcere».

Sulle proteste del 2021 padre Reyes spiega:

«L’11 luglio penso si sia alzata la grande voce di questo popolo: “Questo processo chiamato rivoluzione cubana non lo vogliamo”. Nel 1959, il popolo cubano l’ha sostenuto perché aveva speranza e perché è stato ingannato. Fidel Castro si è presentato come un democratico popolare che avrebbe ripristinato la democrazia perché vivevamo sotto una dittatura e lui aveva detto che avrebbe riportato la costituzione del 1940. Questo è ciò che aveva promesso e in effetti ha detto più di una volta: “Io non sono comunista”. Ha ingannato questo popolo e credo che vada detto. E dirlo chiaramente: “Siamo stati ingannati”. In questo Paese si è instaurata una dittatura che è stata una prigione che dura fino ad oggi. L’11 luglio è stata la grande voce del popolo che si è alzata per dire “Non voglio questo. Andatevene”. E il governo lo sa, ecco perché le strade sono piene di polizia. Ecco perché il 15 novembre 2021, quando questo popolo ha detto “usciremo pacificamente”, le strade si sono militarizzate. Se sei così sicuro che il popolo ti ama perché non lo lasci esprimere pubblicamente? Lasciateci essere un popolo libero e prospero. Perché non è giusto mantenerci nella miseria e nella mancanza di orizzonti».

«Negli anni 80 tiravano le uova. Oggi non ne hanno da mangiare»

Padre Alberto Reyes è stato bersaglio più volte dei cosiddetti “atti di ripudio”, appelli promossi dal governo per puntare il dito contro qualcuno come nemico pubblico.

«L’atto di ripudio è la cosa più bassa a cui si può portare una società, ovvero convocare un gruppo di persone affinché vadano davanti a casa tua e ti gridino contro, ti offendano. In alcuni casi ti tirino pietre e bastonino. Negli anni ’80 tiravano uova, oggi no perché non ce n’è da mangiare. È un atto di odio. Un atto popolare di odio pubblico. La cosa triste è che le persone che vi partecipano, poco dopo emigrano. Il momento in cui Gesù dice al padre “perdonali perché non sanno cosa stanno facendo” credo accada ancora. Mi rattrista che questa gente invece di difendere la loro libertà, stiano facendo il gioco dell’oppressore. Perché le stesse persone che fanno questi atti di ripudio dopo, quando tu porti medicine, vengono a chiedertele così come quando la loro nonna ha bisogno di un pannolone. Per questo dico sempre che il comunismo non sopravviverà e che la Chiesa rimarrà».

«Una Cuba senza Dio, una nuova dittatura»

Oltre ai libri pubblicati in cui racconta la formazione della sua vocazione sacerdotale durante il castrismo, padre Alberto ha una rubrica digitale “He estado pensando”, dove promuove il pensiero civico, etico e cristiano. E non ha paura di dire la verità. Come il fatto che a Cuba non ci sia libertà religiosa:

«C’è libertà di culto, cioè le chiese sono aperte, si può celebrare la Messa, si può fare catechesi, si possono amministrare i sacramenti. Però la libertà religiosa va ben oltre questo. Perché c’è un ufficio per gli affari religiosi che controlla la Chiesa e da esso dipendono molte delle autorizzazioni di cui la Chiesa ha bisogno per poter lavorare. Un ufficio che ci fiscalizza, ci controlla, ci spia, che cerca di metterci a tacere perché uno dei meccanismi è silenziarci attraverso i vescovi. Inoltre, per tutto ciò che si deve fare extra muros (ovvero fuori dalle chiese) abbiamo bisogno di un permesso. Una processione? Un permesso. Molte volte stabiliscono l’ora in cui deve essere fatta, controllano il percorso, non si può costruire una chiesa, i permessi per la ricostruzione dei templi sono un processo molto lungo e molte volte, per sciocchezze, ti dicono di no e la Caritas non può importare medicinali immediatamente perché ci sono molte persone disposte a inviare quelli che mancano e a pagarli. Ma non può. Perché no? Perché dobbiamo continuare a mantenere il teatro che Cuba è una potenza medica, che la salute a Cuba non è un problema ed è cosa risolta. Quindi, per mantenere una menzogna teatrale che la gente muoia. Questo è crudele. Il più grande errore in 500 anni di storia è stato che un giorno abbiamo voltato le spalle a Dio e abbiamo preteso costruire un paradiso senza di Lui. Una Cuba nuova senza Dio sarebbe passare da una dittatura a un’altra dittatura, forse peggiore. Io sogno un Paese aperto a Dio, naturalmente prospero, perché abbiamo il potenziale e la capacità per essere un Paese molto prospero. Ma vorrei una prosperità generosa e una Cuba con memoria, perché la memoria della gente di solito è corta».

QOSHE - Caos Cuba, da culla a tomba della rivoluzione - Paolo Manzo
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Caos Cuba, da culla a tomba della rivoluzione

4 3
19.03.2024

Nonostante il regime cubano continui a lavorare assiduamente per garantire che il mondo rimanga disinformato sulla realtà della vita della stragrande maggioranza dei cubani, a volte nella Storia con la esse maiuscola la realtà supera le narrative. Da giorni, migliaia di cubani sono tornati a sfidare la repressione della dittatura al grido di «patria e vita», manifestando contro il regime di Miguel Díaz-Canel e circondando numerose sedi del Partito Comunista a Santiago de Cuba e in altre città dell’Oriente cubano, il più misero.

Cuba al buio e senza cibo. E il regime reprime le manifestazioni

Come l’11 luglio 2021, i cubani stanno dunque scendendo di nuovo in piazza per protestare in massa contro la dittatura comunista che lascia il popolo nella fame e nell’oscurità (l’ultimo blackout è stato di 20 ore). E sono state proprio la scarsità di cibo e i blackout sempre più frequenti nell’isola a scatenare le proteste iniziate sabato notte a Santiago de Cuba e alle quali si sono aggiunte anche Bayamo, Santa Marta, Marianao e decine di altre città. E, come previsto, la risposta del regime castrista è stata immediata.

Leggi anche:

«Cuba merita pace e libertà». Il duro appello della Chiesa al regime

«Abbasso la dittatura. Non ci lasciano vivere». Protesta senza precedenti a Cuba

Le comunicazioni e Internet sono stati interrotti per cercare di impedire al mondo di scoprire cosa sta succedendo all’interno dell’isola, ma a quel punto molti video circolavano già sui social network. «Abbiamo a malapena Internet, nel caso in cui tagliassero ogni accesso posso solo dire che se Santiago de Cuba è stata la “culla” della Rivoluzione, secondo la propaganda ufficiale… forse potrebbe esserne la tomba. Culla e tomba», ha scritto la giornalista Yoani Sánchez sul suo account X. Ma alla dittatura i blocchi delle comunicazioni non bastano. Come ha diffuso sui suoi social network Prisoners Defenders, le forze militari del regime si sono dedicate nella notte alla persecuzione e al tentativo di sequestrare i manifestanti.

L’appello di suor Nadieska: «Diciamo: basta»

La realtà supera le narrative dunque. Lo scorso novembre, alla Revisione periodica universale di Cuba, meccanismo Onu che aveva rivisto la........

© Tempi


Get it on Google Play