Da sinistra, Giuliano Ferrara, Luciano Violante, Giovanni Sallusti e Michele Silenzi durante la presentazione del libro “Mi mancano i vecchi comunisti” presso la sede di Confedilizia a Roma, mercoledì 6 marzo

Si possono rimpiangere i vecchi comunisti? Ma soprattutto, un libertario, conservatore e politicamente schierato a destra può rimpiangere i vecchi comunisti? Giovanni Sallusti sostiene di sì. E lo ha scritto in un breve, rigoroso e divertente saggio pubblicato da Liberilibri che si intitola appunto Mi mancano i vecchi comunisti – Confessione inaudita di un libertario. Sallusti, firma di Libero e oggi direttore di Radio Libertà, lo ha presentato a Roma mercoledì 6 marzo, nella sede di Confedilizia, con tanto di involontario accompagnamento musicale che giungeva dalla sottostante via del Corso. Con lui due che sarebbe riduttivo definire “vecchi comunisti”, Giuliano Ferrara (che ha scritto la prefazione al libro) e Luciano Violante.

Non c’è dibattito politico senza un “nemico”

Quella di cui parla Sallusti, ha detto il suo editore Michele Silenzi introducendo il dibattito, è la nostalgia per un avversario con le idee chiare di fronte a cui stare: «Non si può avere dibattito politico senza avere di fronte un “nemico”, qualcuno con cui confrontarsi direttamente in maniera anche decisa ma partendo da uno stesso piano concettuale», qualcuno che accetti la Rivoluzione industriale come fatto storico-economico positivo, l’autonomia della politica e l’appartenenza alla cultura occidentale come premesse. Il problema, scherza ma non troppo Violante, è che «i vecchi comunisti sono tutti morti». Ma soprattutto, e qui il tono si fa più serio, «Erano figli di un partito, non individualità fluttuanti» come gli appartenenti dei partiti di sinistra di oggi.

Per l’ex magistrato e presidente onorario della Camera dei deputati «il Partito comunista era un partito-scuola che mi ha formato e dato un metodo, un partito-comunità ascoltante e pensante. Una scelta politica non era mai individuale, ma era costruita in un rapporto». Quello che manca oggi «è la lotta politica», ha constatato Violante, «non c’è la costruzione di un movimento attorno a obiettivi comuni, non c’è continuinità con il passato né memoria».

Il senso di comunità dei vecchi comunisti

Ma come erano questi vecchi comunisti rimpianti da Sallusti? «Nell’applicazione, nello studio, anche nel loro bigottismo avevano un senso di comunità», ha detto Ferrara. «Con Violante oggi ci divide tutto, ma non la consapevolezza di essere appartenuti a una cosa comune. Questo elemento oggi è scomparso. La sinistra che va per la maggiore oggi è fatta di individualismi e incontri fugaci». Studio, comunità e – aggiunge Ferrara – «rispetto per il rapporto tra l’intelligenza e la realtà, adaequatio rei et intellectus diceva San Tommaso». A processo nel saggio di Sallusti è la sinistra woke contemporanea, che il fondatore del Foglio definisce «sinistra colorata che combina pasticci all’insegna del safe space, che è negazione non solo del libertarismo, ma di tutto, anche dello spirito dei movimenti degli anni Sessanta».

I vecchi comunisti sapevano che «non si può prescindere dai dati di fatto, dati che però non possono esercitare una dittatura. Sapevano che non si può essere né schiavi né padroni della realtà. Quello che fa il woke oggi invece è cancellare la realtà, mette fuori dai binari il rapporto tra il soggetto che conosce e l’oggetto conosciuto».

La sinistra woke che odia se stessa

Woke, “gretina” e praticante l’oicofobia, l’odio di sé che porta a intolleranza e censura, la sinistra contemporanea non va proprio giù a Sallusti, che ha «iniziato a provare questa nostalgia durante l’epoca delle Sardine», dice, che fu la prova generale dello schleinismo. «Ho pensato a mio nonno materno, operaio fieramente comunista che se tornasse in vita e vedesse cosa è la sinistra oggi avrebbe una crisi di identità». Produttivismo, realismo e occidentalismo, tre capisaldi intoccabili per i “vecchi comunisti” sono stati sconfessati dalla sinistra: «Provate a leggere a un militante di Ultima Generazione alcuni passi del primo capitolo del Capitale di Karl Marx e gli prenderà un colpo, oltre a non sapere probabilmente chi è Marx».

Parliamo però di «una tradizione finita», avverte Ferrara, «escluderei che i vecchi comunisti si rifacciano vivi». E non solo perché – sottolinea Violante – «nella sinistra attuale c’è una cultura a-storica, una conoscenza a-storica: per loro la storia è al massimo quello che è successo la settimana scorsa, prescindono da una idea di paese. Dopo dieci anni di governo la sinistra è logorata. Io oggi vedo mancanza di studio e una non-tendenza alla costruzione della competenza».

Ferrara: «Il comunismo è stata una grande carognata»

Nella sala di Confedilizia si rincorrono gli aneddoti del passato, che però i relatori evitano di idealizzare troppo: «Il libro di Sallusti è utile perché mette in luce anche i difetti, il cinismo e anche la brutalità dei vecchi comunisti», dice Violante. «Per quanto riguarda il novecento il comunismo sul piano storico è stato una grande carognata criminogena», ha detto Ferrara, «che ha costruito e posto le premesse per tante cose che oggi si stanno riproducendo, con la guerra, l’oppressione del dissenso, i sogni neoimperialisti e un’idea autocratica del potere. Si possono rimpiangere i vecchi comunisti, ma va fatto con tatto e garbo». Quello raccontato da Sallusti con i “nuovi comunisti” è un dialogo impossibile, negato dalla sinistra e rifiutato da chi come lui si definisce libertario ed è conservatore.

Quel discorso su fascismo e antifascismo di Violante

Nel 1996, da presidente della Camera, Luciano Violante fece un discorso sulla necessità di conciliazione tra destra e sinistra, ricorda Silenzi, auspicando il superamento della questione fascisti contro antifascisti: «Un intervento futuribile. Come è possibile che oggi sia tornato quello schematismo sciocco e grossolano, e perché la sinistra attuale si sente invece portatrice di un discorso in cui ci sono inimicizia e impossibilità di dialogo e confronto?».

«Mi ha sempre incuriosito, anche per ragioni di educazione, l’altro. È statisticamente impossibile che tu abbia sempre ragione e che l’altro abbia sempre torto: cerca di capire le ragioni dell’altro. Mi colpiva che nella fase finale del fascismo tantissimi ragazzi e ragazze si fossero schierati con la Repubblica sociale. E poiché, fermo restando il valore della lotta di liberazione, tanti si divisero in quel periodo, sforzarsi di capire le ragioni di chi si schierò dall’altra parte è un problema di comprensione della storia nazionale, tanto che oggi siamo tornati a una situazione simile».

Violante: «Il punto di lotta politica non è il fascismo»

Per Violante «quando si hanno responsabilità istituzionali si deve provare ad aprire una prospettiva, ed è quello che feci. Non mi andò benissimo», ride, «ma ricordo una discussione aspra con l’Anpi a Bologna in cui alla fine capirono che da parte mia non c’era malafede. A me dispiace che non si sia capito che lì c’è un punto del paese. Non puoi giocarti la partita con l’avversario politico sulla base dell’attribuzione ideologica che tu gli dai. Vedo un certo infantilismo politico su questo punto».

«La questione resta perché manca un indirizzo strategico sul quale costruisci un’altra idea di paese e per cui combatti. Invece sul discorso fascismo e antifascismo ho l’impressione che non si vada lontano. Non perché non ci siano rigurgiti, ma perché il punto di lotta politica non è lì. Io non volevo “sdoganare” nessuno, volevo capire perché qualcuno sta da una parte e qualcun altro dall’altra. E il problema resta. Io credo che chi governa è in grado di affrontarlo, e se lo riuscirà a fare facendo un partito conservatore, il ragionamento cominciato dal mio discorso nel 1996 avrebbe compiuto il suo percorso».

Il rimpianto di Ferrara per Joseph Ratzinger

E a proposito di nostalgia e rimpianti, la discussione romana sul libro di Sallusti ha avuto un’interessante “bonus”, quando Silenzi ha chiesto perché un ex “vecchio comunista” come Ferrara ha sentito e sente una vicinanza di pensiero con uno come Joseph Ratzinger. «Ratzinger era antirelativista, era proprio consentanea a me l’immagine di questo papa teologo così strutturato, che aveva attraversato il dramma del totalitarismo novecentesco e che aveva elaborato la crisi della chiesa come una crisi di evoluzione che andava governata. Questo senso delle cose da governare in nome di una ragione che non si può esaurire nel relativismo Ratzinger ce l’aveva».

«Era un uomo di idee irriducibili», ha concluso l’Elefantino, «sembrava inoffensivo e minaccioso insieme, ed era molto interessante per noi perché ci dava l’idea di un’intuizione dei tempi moderni, un’intuizione di quelle rare ma vera, non scontrosa: era un Papa che voleva che accanto alla fede funzionasse un meccanismo di riconoscimento della realtà fatto con la ragione. Da questo punto di vista Ratzinger si può ricomprendere nella categoria rimpianta da Sallusti».

QOSHE - Buone ragioni per rimpiangere i vecchi comunisti - Piero Vietti
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Buone ragioni per rimpiangere i vecchi comunisti

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08.03.2024
Da sinistra, Giuliano Ferrara, Luciano Violante, Giovanni Sallusti e Michele Silenzi durante la presentazione del libro “Mi mancano i vecchi comunisti” presso la sede di Confedilizia a Roma, mercoledì 6 marzo

Si possono rimpiangere i vecchi comunisti? Ma soprattutto, un libertario, conservatore e politicamente schierato a destra può rimpiangere i vecchi comunisti? Giovanni Sallusti sostiene di sì. E lo ha scritto in un breve, rigoroso e divertente saggio pubblicato da Liberilibri che si intitola appunto Mi mancano i vecchi comunisti – Confessione inaudita di un libertario. Sallusti, firma di Libero e oggi direttore di Radio Libertà, lo ha presentato a Roma mercoledì 6 marzo, nella sede di Confedilizia, con tanto di involontario accompagnamento musicale che giungeva dalla sottostante via del Corso. Con lui due che sarebbe riduttivo definire “vecchi comunisti”, Giuliano Ferrara (che ha scritto la prefazione al libro) e Luciano Violante.

Non c’è dibattito politico senza un “nemico”

Quella di cui parla Sallusti, ha detto il suo editore Michele Silenzi introducendo il dibattito, è la nostalgia per un avversario con le idee chiare di fronte a cui stare: «Non si può avere dibattito politico senza avere di fronte un “nemico”, qualcuno con cui confrontarsi direttamente in maniera anche decisa ma partendo da uno stesso piano concettuale», qualcuno che accetti la Rivoluzione industriale come fatto storico-economico positivo, l’autonomia della politica e l’appartenenza alla cultura occidentale come premesse. Il problema, scherza ma non troppo Violante, è che «i vecchi comunisti sono tutti morti». Ma soprattutto, e qui il tono si fa più serio, «Erano figli di un partito, non individualità fluttuanti» come gli appartenenti dei partiti di sinistra di oggi.

Per l’ex magistrato e presidente onorario della Camera dei deputati «il Partito comunista era un partito-scuola che mi ha formato e dato un metodo, un partito-comunità ascoltante e pensante. Una scelta politica non era mai individuale, ma era costruita in un rapporto». Quello che manca oggi «è la lotta politica», ha constatato Violante, «non c’è la costruzione di un movimento attorno a obiettivi comuni, non c’è continuinità con il passato né memoria».

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