Mi considero un custode zelante quando si tratta di guidare i miei figli attraverso un ambiente di crescita protetto da certe “esperienze”. Questa attenzione è ovviamente condizionata dalle mie paranoie più o meno soggettive su quando è il momento più adatto per fare certe cose: più avanti che si può. Ad esempio, ho sempre cercato di ritardare l’assunzione e assuefazione alle bevande gassate (quelle dal colore scuro, ben distanti dall’acqua) e l’accesso a un telefono cellulare. Ma viviamo in un mondo di condizionamenti sociali e c’è un punto di rottura quando l’istinto di protezione diventa stigmatizzazione e fonte di esclusione.
Recentemente, con il mio figlio più giovane, abbiamo raggiunto quel momento critico in cui la pressione sociale per possedere uno smartphone è diventata schiacciante. In Italia, questo momento in passato coincideva con la cresima, ma sembra sempre più anticipato, con l’ingresso alle scuole medie che segna una soglia significativa. Allora in famiglia, abbiamo concordato che se la maggior parte dei suoi compagni di classe avesse avuto uno smartphone, avremmo considerato di regalargliene uno per Natale. Alla fine, su 24 ragazzi, solo cinque non ne avevano uno. Così abbiamo ceduto, ma con ferree limitazioni, monitorando attentamente il suo utilizzo e sostenendo la sua passione per lo sport, in particolare il calcio, che già richiedeva un impegno considerevole, per ridurre al massimo il tempo discrezionale da passare online.

Tuttavia, presto abbiamo scoperto che non era solo la quantità di tempo trascorso sui social media a preoccuparci, ma anche l’esposizione a contenuti inappropriati e l’autoregolamentazione dei suoi coetanei. Questo ci ha spinto a riflettere sul ruolo dei genitori e della comunità nel fornire un ambiente digitale più sicuro e sano per i giovani.

La crescente preoccupazione per l’impatto negativo degli smartphone e dei social media sulla salute mentale dei giovani ha portato all’emergere di movimenti come “Smartphone Free Childhood” nel Regno Unito. Fondato da Clare Fernyhough e Daisy Greenwell, questo gruppo conta oltre 4.000 genitori che condividono l’obiettivo di ritardare l’età in cui i bambini ottengono uno smartphone e limitare l’accesso ai social media. Ciò che è iniziato come un piccolo gruppo di supporto si è trasformato in una campagna nazionale, con l’intento di modificare le norme sociali per promuovere un’infanzia più sana e concentrata sull’apprendimento, libera dalle distrazioni dei dispositivi digitali.

Una delle proposte di questo movimento è quella di stabilire una regola chiara: nessuno smartphone fino ai 14 anni. Questo non significa negare l’accesso alla tecnologia, ma piuttosto limitarne l’uso a scopi più specifici e controllati.
Un telefono senza internet potrebbe essere una soluzione adeguata per questo scopo, senza limiti di età.

Tuttavia, l’attuazione di questa regola richiede un impegno collettivo. Genitori, nonni, zii, allenatori e tutti coloro che gravitano intorno ai giovani devono collaborare per garantire che questo ambiente protetto sia mantenuto. Sono loro gli angeli custodi di questo sistema, pronti a guidare i giovani attraverso un mondo digitale complesso, ma controllato. Li facciamo venire al mondo già con una zavorra di debiti pubblici e clima compromesso. Almeno riscattiamoci liberandoli dalla schiavitù precoce delle menti.

“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”, don Lorenzo Milani.

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

QOSHE - Fino ai 14 anni, solo telefono senza internet - Michele Mancino
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Fino ai 14 anni, solo telefono senza internet

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17.02.2024

Mi considero un custode zelante quando si tratta di guidare i miei figli attraverso un ambiente di crescita protetto da certe “esperienze”. Questa attenzione è ovviamente condizionata dalle mie paranoie più o meno soggettive su quando è il momento più adatto per fare certe cose: più avanti che si può. Ad esempio, ho sempre cercato di ritardare l’assunzione e assuefazione alle bevande gassate (quelle dal colore scuro, ben distanti dall’acqua) e l’accesso a un telefono cellulare. Ma viviamo in un mondo di condizionamenti sociali e c’è un punto di rottura quando l’istinto di protezione diventa stigmatizzazione e fonte di esclusione.
Recentemente, con il mio figlio più giovane, abbiamo raggiunto quel momento critico in cui la pressione sociale per possedere uno smartphone è diventata schiacciante. In Italia, questo momento in passato coincideva con la cresima, ma sembra sempre più anticipato, con........

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